Grazia (e giustizia)


di Giovanni De Mauro
Internazionale, 20/26 luglio 2018 • Numero 1265 • Anno 25


Ha compiuto quarantadue anni il 13 luglio, al sessantunesimo giorno di sciopero della fame. Oleg Sentsov è un regista ucraino nato in Crimea. 

Il 10 maggio del 2014 è stato arrestato a Sinferopoli con l’accusa di terrorismo: avrebbe dato fuoco alla porta di una sede locale del partito di Vladimir Putin, Russia unita, e progettato di far saltare in aria una statua di Lenin. 

Dopo l’arresto gli è stata imposta la cittadinanza russa ed è stato condannato a vent’anni di carcere da un tribunale militare in un processo che Amnesty international ha deinito “palesemente irregolare”. Nessuna prova è stata portata a sostegno delle accuse. 

Oggi è detenuto nella colonia penale di Labytnangi, in Siberia, nell’estremo nord della Russia. Il 14 maggio ha cominciato uno sciopero della fame per chiedere la liberazione di 64 prigionieri politici ucraini rinchiusi nelle carceri russe. Il 22 giugno la madre del regista, Ljudmila Sentsova, ha scritto una lettera a Putin chiedendo la grazia per il figlio: “Non cercherò di convincervi dell’innocenza di Oleg, anche se ne sono persuasa. Dirò solo che non ha ucciso nessuno. Ha già passato quattro anni in carcere. I suoi figli lo aspettano”. 

Finora il presidente russo ha ignorato l’appello del parlamento europeo e di decine di intellettuali, registi e scrittori di tutto il mondo. A Mosca e a San Pietroburgo la polizia ha arrestato nei giorni scorsi alcuni attivisti che distribuivano volantini chiedendo la liberazione di Sentsov. E la liberazione di tutti i prigionieri politici era tra le richieste delle quattro Pussy riot che hanno invaso il campo durante la finale dei Mondiali tra Francia e Croazia.

Secondo fonti diplomatiche, il presidente francese Emmanuel Macron avrebbe parlato del caso del regista durante l’incontro informale con Putin a Mosca. Ma ora che si sono spenti i rilettori sui Mondiali, rischia di spegnersi anche la luce nella cella di Sentsov.

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