Dalle mucche di El Carmelo alla maglia rosa, Carapaz eroe dell’Ecuador


https://www.gazzetta.it/Giroditalia/26-05-2019/giro-d-italia-campesino-carapaz-accudiva-mucche-l-eroe-dell-ecuador-3301943927253.shtml?fbclid=IwAR0wtq28fKxEcgerFbADHUReKZJfvHA7pces6YjroLSDjY9V3_NnJ6nlO6w

Famiglia umile, la prima bici senza pneumatici, i tanti soprannomi, l’idolo Pantani, la cura dei bovini di casa: viaggio alle radici della “Locomotora de Carchi”

Dal nostro inviato Sebastiano Vernazza
Gazzetta dello Sport, 26 maggio 2019

La nuova maglia rosa è un corridore di frontiera, nato e cresciuto in Ecuador, ma sul confine con la Colombia, in una località chiamata El Carmelo, dal nome della parrocchia. Un posto in cui si vive di agricoltura, campi e bestiame. Richard Carapaz ha una storia e un cognome che dovrebbe piacere a Paolo Conte. Sarebbe perfetto per “Bartali”, una delle canzoni ciclistiche dell’autore di Asti: “Zazzarazàz... Carapaz”. E andrebbe bene per “Diavolo Rosso”: “Da questa campagna altri abissi di luci”. Il nuovo padrone del Giro ha alle spalle una famiglia contadina. Potremmo definirlo un “campesino”, come nel Sudamerica di lingua spagnola vengono chiamati i braccianti. La sua regione di provenienza è El Carchi e per questo lo chiamano “La Locomotora (locomotiva) del Carchi”, anche se qua e là compare un altro soprannome, “L’Aquila del Sud”, ma l’interessato smentisce: “No, io sono Richie e basta”. 


LA MAMMA GUARITA— Carapaz racconta la sua storia: “Sono nato in un paesino a 20 minuti dalla Colombia e lì ho vissuto fino a quando ho cominciato a correre in Colombia”. Parliamo di una famiglia votata al lavoro nei campi. Papà Antonio, mamma Ana Luisa e tre figli, Richard e due sorelle più grandi di lui. Una, Cristina, lavora alla Prefettura di Carchi. Il ragazzo non è sfuggito alla corvée agricola familiare: “E’ successo quando ero adolescente — spiega lui stesso —. Mia madre si è ammalata di cancro e per qualche tempo mi sono preso cura delle mucche. Le accudivo, davo loro da mangiare, le mungevo”. Le vacche erano tre, la vendita del latte costituiva il principale introito familiare. La mamma oggi come sta? “Grazie a Dio è guarita e siamo tutti più tranquilli”. Dona Ana ha raccontato la genesi di Richard ciclista: “A 8 anni mio figlio aveva una mountain bike, ma a lui non piaceva, diceva che era pesante. Preferiva una bici scassata, senza pneumatici, e con questa si divertiva a saltare gli ostacoli”.


ISPIRAZIONE PANTANI — Richard è nato e vissuto a quasi tremila metri di altitudine, è la maglia rosa più “alta” nella storia del Giro. È abituato a scalare montagne e non solo in bici: sul suo profilo Instagram ci sono foto di cime “conquistate” a piedi. Carchi è una terra ciclistica e Carapaz ha vinto la Vuelta del Guatemala del 2013 con un team ecuadoriano. I colombiani lo hanno notato e se lo sono portato via. Richie li ha ripagati col trionfo alla Vuelta de la Juventud de Colombia e a quel punto sono arrivati i “predatori” europei, nello specifico gli spagnoli: prima la Lizarte di Pamplona e poi la Movistar, il club attuale. Il Giro ha un sapore speciale per lui: “Grazie ai video su internet, mi sono appassionato a Pantani. Guardavo le sue imprese al computer”. Nel 2014 è sopravvissuto a un incidente: mentre si allenava sulle strade di casa, è stato investito da un’auto. Perdita di conoscenza, operazione a una gamba. Ma ne è uscito. 

IL TWEET DEL PRESIDENTE — Lenin Moreno è il presidente dell’Ecuador dal maggio del 2017. Ha un nome forte, Lenin, che richiama l’ideologo della rivoluzione russa, e guida una partito di sinistra chiamato “Alianza Pais”. Ha celebrato Carapaz con un tweet: “Ha vinto la tappa ed è diventato leader assoluto al Giro d’Italia. Grazie a Richard perché ci dà gioia e orgoglio. Il Paese lo sta celebrando e noi gli daremo il riconoscimento che merita”. Onorificenza in arrivo. Folta è la comunità degli ecuadoriani in Italia: nel 2016 i residenti ufficiali erano 83.120. Professioni umili, risolvono problemi: badanti, colf, autotrasportatori, edili. Si concentrano nel vecchio triangolo industriale, tra Milano, Torino e Genova. Lungo le strade delle ultime tappe abbiamo notato diverse bandiere dell’Ecuador a tre colori orizzontali, giallo, blu e rosso, col condor nello stemma: “È bello, sono contento, mi emoziono quando le vedo. Io corro per l’Ecuador”. Tiene a precisarlo: “Sono diventato corridore vero in Colombia, le radio e le tv colombiane mi considerano uno di loro, ma io ho l’orgoglio di essere ecuadoriano”. Il senso di appartenenza dei sudamericani ai propri Paesi, qualcosa di impossibile da sradicare o trasformare.

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