IN FUGA DAGLI SCERIFFI - Gli Scapigliati: Chioccioli


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Simone Basso
IN FUGA DAGLI SCERIFFI
Oltre Moser e Saronni: il ciclismo negli anni Ottanta
Prefazione di Herbie Sykes
Rainbow Sports Books, 176 pagine

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Bignami doveroso dedicato a Franco Chioccioli da Pian di Scò, atleta eternamente fuori del suo tempo. Sfortunato a capitare in un’èra autarchica e conservatrice: di quel ciclismo fu uno degli agnelli sacrificati alla rappresentazione scenica. 

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Figlio di una famiglia contadina, ultimo di otto fratelli, dovette convivere con le storie dolorose di tutti i giorni. 

Talento annunciato fin dalle categorie giovanili, con un Giro della Lunigiana nella fedina, fu scoperto da Franco Montanelli, nessuna relazione diretta con l’Indro, e valorizzato nei pro’ da Luciano Pezzi. 

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Il Giro 1983 lo rivelò, se non al grande pubblico, almeno agli addetti ai lavori: quella corsa rosa, altimetricamente banale, fu il gran ballo di una nuova generazione. 

Franco, che con scarsa fantasia e per i lineamenti dolenti fu soprannominato Coppino, mostrò lampi di classe purissima. Vinse, quasi senza accorgersene, la maglia bianca e contribuì con Roberto Visentini, Moreno Argentin, Eduardo Chozas e Davide Cassani a rendere imprevedibile la corsa. 

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Troppa iella incombente lo privò di una ribalta consona alla sua classe, impedendogli un’affermazione internazionale tecnicamente nelle corde: archetipo italiano, un cavallo di razza alla Gianni Motta/Giovanni Battaglin, strepitoso in salita nei giorni d’ispirazione massima, competente anche negli sprint ristretti dopo tracciati esigenti. 

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Sembra un caso che il momento di massimo splendore monetario, negli anni Novanta, si sia verificato parallelamente alla diffusione democratica dell’epo nel plotone? 

Il Franco comunque continuò a recitare la parte, frustrante, della comparsa di valore: rispettando il copione, fece sempre la cosa giusta nel momento sbagliato. 

Anche al Giro 1988, quando indossò un rosa splendente, ibernò i sogni di gloria sotto la tempesta di neve del Gavia: quasi che la sconfitta eroica fosse nel suo destino. 

In posizione di sparo, ai mondiali 1989 di Chambéry, cadde, facendo così il pieno delle occasioni perdute. 

L’anno prima di riscuotere, tutto in una volta, il credito accumulato con gli dèi, arrivò a un biglietto ferroviario dalla fine anticipata della carriera: nel 1990, nella maxi-crono di Cuneo, prese una stesa memorabile (e sette minuti in settanta chilometri). 

Soltanto i tecnici e i colleghi della Del Tongo lo dissuasero dall’abbandono. 

Già, perché Chioccioli visse sempre sul filo di una crisi di nervi, privo di difese immunitarie dalle tensioni agonistiche. 

L’insonnia talvolta divenne un presagio felice: passò senza addormentarsi quasi tutte le vigilie importanti della carriera, solitamente quando sentiva la gamba giusta. Si ritrovò così a inventare espedienti per riposare almeno qualche ora, per evitare che, con quel fisichino, il vento se lo portasse via: il rimedio più bizzarro fu lo scotch adesivo nero applicato a tutte le fessure e le spie che emettevano luce. 

Fu con quello spirito che entrò nel momento magico del Giro 1991: perse da vessato una tappa sarda, alzando le mani troppo presto, e poi riscattò una carriera. 

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L’aretino fece un numero ancora oggi ineguagliato nell’èra moderna della corsa rosa: fuggì in rosa sul Mortirolo e realizzò un capolavoro verso l’Aprica. 

Sessanta chili attaccati al manubrio, la schiena ricurva sul telaio e la pedalata nervosa di chi stava volando: oltre il bis sul Pordoi, quasi scontato, l’impresa tecnica più rilevante fu nella durissima prova contro il tempo di Casteggio. 

Pian di Scò, quella tranquilla domenica di festa, si trasferì a Milano: fu anche il suggello romantico della Del Tongo, arrivata alla fine di un decennio di storiche sponsorizzazioni (Beppe Saronni, Lech Piasecki, Gibì Baronchelli, Maurizio Fondriest, Franco Ballerini, Mario Cipollini eccetera). 

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Nel 1992 al Giro fece un terzo posto da campione e fu l’unico che provò ad attaccare seriamente il Faraone Miguel Indurain. 

Esordì al Tour a quasi trentatré anni e vinse una tappa, quella di Saint-Étienne, bellissima. Fu un appuntamento appagante e nostalgico; chissà cosa sarebbe successo, se fosse capitato da giovinastro in una dimensione meno arretrata. 

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