Una foto è per sempre la magia dell’immagine nella notte misteriosa




di Dario Torromeo / Firma 21/05/2020

Una fotografia non è né catturata né presa con la forza. 
Essa si offre. È la foto che ti cattura. 
(Henri Cartier-Bresson) 

St Dominic’s Arena, Lewiston, Maine. 25 maggio 1965, ore 10:40 della sera.

Alla fine quelli di Sports Illustrated ce l’hanno fatta. Hanno convinto i legittimi proprietari a prestare loro l’intera attrezzatura. Quaranta condensatori, ognuno del peso di trentacinque chili. Normalmente illuminano la Roosevelt Raceway di Long Island, ora sono qui.

C’è poca gente attorno al ring, ma su questa piccola cittadina del Maine sono puntati gli occhi di milioni di persone. A Lewiston neppure sanno cosa sia la boxe, e si ritrovano a ospitare il campionato mondiale dei pesi massimi tra Muhammad Ali e Sonny Liston.


Gli spettatori affluiscono lentamente nella St Dominic’s Arena. Il match avrebbe dovuto svolgersi al Boston Garden, ma le autorità del Massachusetts hanno negato l’autorizzazione. Pensano che dietro gli organizzatori ci sia la mafia. Pochi mesi fa è stato assassinato Malcolm X e subito dopo è stata incendiata la casa di Ali.

In molti temono che qualcuno possa uccidere il campione, l’ipotesi di un attentato si fa sempre più reale. Meglio un posto piccolo, dove sarà possibile controllare tutti.

Il match si svolgerà nella cittadina sul fiume Androscoggin. 130 miglia a nordest di Boston, in una località che ha una scarsa tradizione che la leghi al pugilato.

Neil Leifer, giovane (22enne, nda) fotografo di Sports Illustrated, ha scelto il suo lato del ring. Su quello opposto si è messo Herbie Scharfman, collega della stessa rivista, uno che ci ha regalato splendide immagini del mitico Rocky Marciano.

Anche loro sono tra i combattenti di questa notte. Come ogni bravo fotografo ingaggeranno una sfida, vincerà chi riuscirà a catturare lo scatto migliore.

Usano Rolleiflex con flash stroboscopico. Un unico scatto, poi saranno costretti ad avvolgere la pellicola e aspettare dai tre ai cinque secondi che il flash si ricarichi. Ognuna di queste operazioni li mette a rischio, possono perdere il momento magico.


In sala ci sono più poliziotti che spettatori. Ogni persona che entra viene perquisita.
Cassius Clay ha abbracciato la religione dei Black Muslims e cambiato nome. Prima in Cassius X, per poi diventare Muhammad Ali.

L’America non ha ancora deciso se amare l’ex galeotto o quello sbruffone che si prende gioco dei rivali, fino a plagiarli.

Al terzo destro scagliato da Ali, Liston stramazza al tappeto subito dopo avere abbozzato un jab sinistro. Un lampo e l’Orso è lì, disteso, quasi immobile. Il campione gli sta sopra e lo sfida urlandogli addosso.

“ALZATI, BRUTTO ORSO! E FALLO IN FRETTA, SIAMO IN TELEVISIONE!”

Sonny è andato giù dopo 1:44, si è rialzato a 1:56, solo dopo 2:12 l’arbitro decreta il ko.
È bastato un pugno invisibile a chiudere la sfida.


L’arbitro è Jersey Joe Walcott, vecchio campione del mondo dei pesi massimi.

Liston è al tappeto. È scivolato giù lentamente, come un vecchio edificio che si sgretola dopo essere stato centrato dalla palla di acciaio. È lì a terra, steso come se fosse stato appena folgorato.

Walcott comincia a contare, perde tempo nel mandare Muhammad all’angolo neutro, si innervosisce, si lascia sfuggire il controllo del match, torna al centro del ring quando i due hanno già ricominciato a boxare. Da bordoring gli urlano di fermarsi, gli gridano che il match è finito. C’è Nat Fleischer in prima fila, è l’editore e il direttore di The Ring: la rivista che viene considerata la bibbia del pugilato.

Fleischer: È finita Joe, ferma l’incontro.
Walcott: Perché?
Fleischer: Liston è rimasto giù 14 secondi.
Urla anche il cronometrista.
Walcott: Quanto è rimasto a terra Liston?
Cronometrista: Oltre 12 secondi.

Jersey Joe Walcott ripercorre lentamente, camminando all’indietro, lo spazio che lo separa dai pugili. Ferma la loro azione e alza il braccio di Ali. Il ragazzo di Louisville si è appena confermato campione. Ha vinto per ko con un pugno che nessuno ha visto.

La gente strilla.
“Buffoni, imbroglioni.”
Sono tutti in piedi e gridano.
“Truffatori.”

Quelli sul ring cercano di sfuggire alla rabbia della folla.
Tutti hanno visto quello che volevano vedere. Non c’è tempo per capire, per cercare una risposta alla cento domande che agitano le menti che in quegli attimi genero furia, non raziocinio.

Il gancio destro di Ali è andato a segno, ma molti non l’hanno visto. Ad altri non è sembrato così potente da chiudere la sfida. La fretta di decidere da che parte stare ruba spazio a qualsiasi considerazione. Spesso si crede di vedere e non si è visto, altre si pensa di avere fissato con gli occhi qualcosa che non è mai accaduto.

La St Dominic’s Arena è una bolgia.

Sonny è al tappeto. Le mani sopra la testa, la gamba destra leggermente flessa. L’immagine perfetta della resa. Le luci sono a posto, i condensatori stanno facendo il loro lavoro. Non c’è tanta pubblicità a inquinare la scena. La gente fuma e questo crea la magia di un effetto nebbia. Non si può chiedere di più.

Neil Leifer scatta, Herbie Scharfman scatta.


Una grande foto ha bisogno di una grande fortuna. Tutto il mondo ricorderà lo scatto di Leifer, l’immagine di Ali con il braccio destro piegato, fino a raggiungere con il pugno la spalla sinistra, il viso trasformato da un misto di rabbia e orgoglio. Sotto di lui, Liston è la rappresentazione di un uomo che non ha più nulla da chiedere. Nello scatto c’è anche il volto di un signore pelato e con gli occhiali. È accanto alla gamba destra di Ali, sta ricaricando la macchinetta fotografica.

È Herbie Scharfman. Ha scelto il lato sbagliato.

Nessuno nella piccola arena di Lewiston ha visto andare a segno il pugno che ha mandato giù Sonny Liston, dopo appena 1:44 dall’inizio del match. È stato un lampo d’immaginazione che solo l’ironia di Ali può raccontare come se sia veramente accaduto.
«I miei colpi sono talmente veloci che devi tenere sempre gli occhi aperti. Un battito di ciglia e hai perso quello del kappaò…».


Dicono ci sia stata una truffa gigantesca sulle scommesse (ma Liston era dato favorito solo a 5/6), che la mafia abbia pilotato il risultato, che i Black Muslims abbiano bisogno di Ali campione del mondo per propagandare la loro religione. Ne dicono tante.

L’unica cosa certa è che Liston ha perso anche la rivincita mondiale, ma è entrato in una società che gestirà i futuri guadagni del campione.

Neil Leifer è un uomo felice. Sa di avere in macchina lo scatto buono. Ha usato il grandangolare a 180° al momento del knock out e ha fermato per sempre un’immagine che apparterrà alla storia.
Una foto vale più di mille parole.

Ali è immortalato nel pieno della sua forza. Potente, strafottente, clownesco, sicuro. Una bellezza plastica in grado di ipnotizzare le folle. E Leister ha catturato quel momento con la sua Rolleiflex.



Sports Illustrated non giudica quello scatto degno della copertina. La scelta di un caporedattore che, credo, si sarà pentito per il resto della sua vita, premia una foto di George Silk. Solo molti anni dopo, capito l’errore, la foto sfinirà sulla copertina della rivista come uno dei più grandi scatti di sempre.



Ci sono 2434 spettatori stanotte a Lewiston, qui dove la grande avventura ha appena preso il volo. Muhammad Ali, l’uomo che conquisterà il mondo, parte per il grande viaggio da un piccolo pubblico, radunato in una minuscola Arena di una piccola città che sapeva nulla di boxe.

Non è stata l’unica contraddizione nella vita di un uomo che ha scritto la storia del pugilato e della società americana.

«C’è una qualità di Ali che ho sempre ammirato più delle altre: 
la sua abilità, unica, di sommare energia e coraggio davanti alle avversità, 
di attraversare la tempesta senza mai perdere la strada». 
(Barack Obama, Usa Today 2010)


*articolo ripreso da 


Nota sull’autore: Dario Torromeo / Firma

Per 40 anni al Corriere dello Sport. Inviato in 10 Olimpiadi, ha seguito 150 mondiali di boxe, 12 mondiali di nuoto, decine di Slam di tennis, un mondiale di calcio e altro ancora. Per due anni telecronista di Stream. Ha vinto il Premio Selezione Bancarella Sport e per tre volte il Premio Coni. Ha scritto 21 libri.

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