IL CAMPIONE DEL PASSATO: “EL TRINCHE” CARLOVICH
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Che sia una storia unica, meravigliosa e a tratti commovente è una
certezza; quanto poi di questa storia ci sia di reale o quanto sia
semplicemente una leggenda ingigantita negli anni, nei racconti
tramandati o nella fantasia di qualche giornalista o ex-calciatore è in
realtà tutto da dimostrare.
Ma quando perfino Maradona dice che il più grande di tutti non è
stato lui e non è stato neppure Pelè ma è stato “El Trinche” Carlovich …
beh, qualche valutazione bisogna farla.
Tomas Felipe Carlovich nasce a Rosario nel 1949. Suo padre è un
immigrato croato che come tanti in quel periodo post-bellico si
trasferisce in questo meraviglioso Paese del Sud America per cercare una
opportunità.
Come per quasi tutti i bimbi di allora il “giocattolo” è solo uno; la
palla con la quale condividere giornate intere in partite all’ultimo
sangue nei vari “barrios”.
La strada, la miglior scuola calcio possibile, lo forma e ben presto
Tomas diventa uno di quelli che con la palla fa quello che vuole. La
controlla e la ammaestra con disarmante disinvoltura, dribbla con
estrema facilità, è capace di passaggi illuminanti anche di 40 metri e
insieme alle doti tecniche ci sono quelle caratteriali, di grande
tenacia e combattività ma anche di tanta umiltà. Di lui si parla tanto,
fin dalle categorie giovanili ma per quei misteri che ogni tanto
accadono nel mondo del pallone al calcio che conta, quello
professionistico arriva relativamente tardi. Qualche presenza con una
delle due grandi di Rosario (le “canaglie” del Central) due con il
Colon, poi con l’Independiente Rivadavia … ma la carriera non decolla
mai in maniera definitiva. Arriva così la firma per una piccola squadra
di Rosario, il Central Cordoba, che lo stesso Carlovich definisce “come
la più bella scelta che ho fatto nella vita” e qui, in una squadra che
naviga tra la seconda e la terza divisione “El Trinche” da il meglio di
se. Lui non è un trascinatore, la squadra non decolla grazie al suo
talento, ma lui gioca perché gli diverte farlo e perché vuole che la
gente di si diverta. Diventa famoso per il “doppio tunnel” quello che
ripetutamente fa allo stesso malcapitato giocatore, prima con l’interno
del piede e poi aspettandolo per rifargli il tunnel stavolta con
l’esterno ! Ma è assolutamente allergico alla sveglia di prima mattina,
agli allenamenti fisici e agli estenuanti giri di campo … lui vuole la
palla, solo così si diverte.
Arriva un momento però dove il mito e la leggenda si incontrano
finalmente con la realtà; quel giorno è un pomeriggio di aprile del 1974
proprio a Rosario dove la Nazionale argentina, in procinto di giocare i
mondiali tedeschi di quell’estate, gioca una delle tanti amichevoli
preparatorie. Contro i migliori giocatori di Argentina (e ce n’erano
davvero di bravi come Brindisi, Babington, Houseman) una selezione di
Rosario, composta da 5 giocatori del Rosario Central, 5 del Newell’s Old
Boys e con il n° 5 proprio lui, Tomas Felipe Carlovich. Il suo ruolo è
quello di “volante difensivo”, il centrocampista che gioca davanti ai 4
difensori e che diventa il frangiflutti a protezione del reparto
arretrato e al contempo il regista a cui affidare l’avvio dell’azione.
“El Trinche” è semplicemente inavvicinabile. In campo comanda lui,
conquista palla con i suoi tackles, rallenta o velocizza l’azione a suo
piacimento, esce in dribbling dalla fase difensiva (divertendo e
divertendosi con i suoi tunnel) oppure innesca gli attaccanti con lunghi
lanci millimetrici.
Il primo tempo finisce sul 3 a 0 per la selezione rosarina contro,
ripeto, la Nazionale Argentina. Alla fine del primo tempo l’allenatore
della “biancoceleste” Vladislao Cap va negli spogliatoi degli avversari e
SUPPLICA il tecnico rivale di sostituire quella autentica ira di Dio.
Il tecnico gli da ascolto. L’Argentina rialza la testa solo parzialmente
… non subisce più gol e riesce a segnarne uno. Alla fine sono in molti a
dire che con Carlovich in campo tutta la partita sarebbe stata una
disfatta senza precedenti. Di li a poche settimane arrivano le
convocazioni per il Mondiale tedesco e nei 22 ci sono due dei giocatori
di Rosario che affrontarono l’Argentina in quell’amichevole; Mario
Kempes e Aldo Poy … ma non Tomas Felipe Carlovich.
“El Trinche” torna nel suo anonimato anche se in tanti, per anni, continuano a parlare della sua prestazione in quella partita.
Qualche offerta arriva, gioca nel Colon e nel piccolo Deportivo
Maipiù dove mostra in quell’unica stagione tutta la sua classe … ma 100
km lontano da Rosario sono tanti, troppi. Così torna nella sua città e
nel suo piccolo Club alternando il calcio alle lunghe giornate a pescare
con gli amici di una vita e alle chiacchiere e al buon vino dei bar del
suo barrio. Con questa piccola squadra chiuderà la carriera, idolatrato
dai tifosi che riempiono ogni domenica il piccolo “Gabino Sosa” per
vedere i suoi lanci, i suoi dribbling e i suoi tunnel. E chi lo ha visto
giocare ancora oggi non ha dubbi, il più forte di tutti era proprio
lui, “El Trinche” Carlovich. Un po’ Redondo e un po’ Riquelme dicono …
beh, come figure di riferimento niente mal.
Oggi vive ancora nella sua Rosario, va ancora a pescare e a giocare a
carte e a bere nei suoi bar. Allena una piccola squadretta locale (con
risultati eccellenti !) ed è un uomo felice e sereno. Quando gli
chiedono perché uno come lui non sia mai “arrivato” davvero lui, bonario
e serafico risponde “Cosa vuol dire “arrivare” ? Io volevo solo giocare
a pallone e stare con le persone che amo … e le persone che amo vivono
tutte qui, a Rosario”
LE LEGGENDE:
Si dice che Menotti, prima del Mondiale di Argentina quando rimase
senza il suo capitano, “El Lobo” Carrascosa, invitò a Buenos Aires
Carlovich, con la proposta di allenarsi un po’ con la Nazionale
argentina per valutare la sua eventuale inclusione nei 22. Si dice anche
che “El Trinche” partì davvero per Buenos Aires … ma si dice anche che
durante il tragitto vide un fiume che pullulava di bellissime trote; El
Trinche si fermò su quel fiume, pescò una grande quantità di trote e
poi, tutto soddisfatto, girò la macchina e tornò a Rosario.
Si dice che durante una partita, con la squadra avversaria tutta
ripiegata in difesa e senza spazi per poter giocare a calcio ad un certo
punto Carlovich infastidito, si fermò, si sedette sulla palla in attesa
che qualcuno uscisse da quel bunker per cercare di andare a
riprendersela … giustificando un gesto apparentemente arrogante con un
“volevo solo riposarmi un po’".
Si dice che nel periodo in cui giocava nell’Independiente Rivadavia e
quindi troppo lontano da Rosario, si fece espellere di proposito prima
della fine del primo tempo perché sennò non avrebbe fatto in tempo a
prendere il treno che lo avrebbe riportato nella sua città prima di
notte.
DISSERO DI LUI:
Cesar Menotti (Selezionatore campione del Mondo 1978)
“La tecnica che possedeva lo rendeva un giocatore totalmente
differente. Accarezzava letteralmente la palla. Da questo punto di vista
non gli mancava nulla. Chissà forse non era accompagnato da altrettante
doti fisiche o forse non hai mai avuto davvero qualcuno che lo guidasse
o consigliasse adeguatamente. O forse, semplicemente, il calcio
professionistico lo annoiava e preferiva giocare a suo modo e dove
voleva lui.
Aldo Poy (nazionale argentino)
“E’ inspiegabile come uno come lui non abbia mai giocato regolarmente
ai massimi livelli. Aveva qualità tecniche straordinarie. Ancora non ho
visto un “5” come lui. Era un po’ lento ma abilissimo e intelligente.”
Josè Pekerman (Ex-selezionatore nazionale argentina)
“Per anni non mi sono perso una partita di Tomas. Credetemi, era
semplicemente il più forte di tutti” Quando a Pekerman recentemente è
stato chiesto di compilare la formazione dei più forti giocatori
argentini della storia con il n° 5 nessun dubbio … Tomas Felipe
Carlovich.
Diego Maradona (Diego Maradona … !)
A fine carriera Diego andò a giocare una partita a Rosario e durante
una conferenza stampa a fine match quando un giornalista si rivolse a
lui chiamandolo “il più grande di sempre” “el Diego” rispose senza
scomporsi “No, il più grande di sempre è vero, aveva giocato a Rosario,
ma non sono io. Successe molti anni fa e il suo nome era Tomas
Carlovich.
E infine lui …“EL TRINCHE CARLOVICH”
“Quando oggi mi chiedono se ho un sogno rispondo di si, ce l’ho ed è
quello di poter tornare su un campo di calcio e poter giocare ancora
almeno 45 minuti”
“Ad un certo punto arrivarono offerte per me dalla Francia e anche
dagli Stati Uniti che probabilmente mi avrebbero cambiato la vita
economicamente; per me però giocare nel Central Cordoba era come giocare
nel Real Madrid”.
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