Mino Denti - 1945


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di Marco Pastonesi

La sua prima bicicletta – una Olimpia Garibaldina, cromata - aveva dieci padroni. Chi le aveva dato il telaio, chi la forcella, chi i pedali e le ruote. Il più famoso dei proprietari era Sergio Alzani, che sarebbe diventato professionista, nella Gazzola, 1963 e 1964, senza vittorie: a quella bicicletta aveva regalato i tubolari. E su quella bicicletta Giacomino Denti, detto Mino, di Soncino (Cremona), aveva deciso che avrebbe fatto anche lui il corridore. Finché, tesserato dalla C.C. Cremonese e ricevuta una bici personale dalla società, restituì quella in multiproprietà per permettere a un altro ragazzo di tentare la fortuna a due ruote.

La prima corsa a Cinisello Balsamo, “una cinquantina in volata, io terzo, senza paura, e il sospetto che mi sarebbero sempre mancate le prime tre o quattro pedalate di potenza”.

La prima vittoria a Persichello di Cremona, “sotto la pioggia, una fuga a cinque o sei, l’arrivo da solo, e la certezza che soltanto la solitudine mi avrebbe sempre garantito il primo posto”.

La vittoria più bella nella cronosquadre – la 4x100 km Dalla Bona-Denti-Guerra-Soldi – ai Mondiali dilettanti 1965, “un quartetto di motociclette, avremmo vinto anche l’anno dopo se non avessimo montato gomme speciali che sull’acqua ci hanno tradito, cinque cadute e un abbandono”.

La vittoria più difficile al Tour de l’Avenir 1966, “quattordici tappe con Alpi e Pirenei, e i francesi che s’incazzavano”.

La vittoria più vittoriosa al Giro del Veneto 1969, media record per 16 anni, sfrecciando in volata davanti a Dancelli, Polidori, Panizza, Boifava e Aldo Moser.

Finché al Giro d’Italia 1970, “la settima tappa, la Zingonia-Malcesine, giù dal Crocedomini, verso la Val Sabbia, tre chilometri prima di Bagolino, la strada stretta, le macchine parcheggiate, la ghiaia invisibile, uno spagnolo, il numero 81, che cade, e io, per evitarlo, che frano”. Dodici metri di salto. Diciotto fratture. Fine della carriera.

Mino, ce l’ha nel cognome, stringe i denti e ricomincia a vivere. Con la mamma e due sorelle sarte, abbigliamento sportivo, anzi, ciclistico. Poi, dal 1980, con la moglie e il figlio, fabbrica anche biciclette, su misura, dai giovanissimi ai professionisti. E così, se prima a vincere era lui, Mino, adesso, a vincere, è Denti, la sua bici.

“Il ciclismo mi ha educato alla disciplina, alle regole, alla vita. Non c’è mai stato un giorno in cui abbia detto che ‘non ho voglia di lavorare’. Così come non c’è mai stato un giorno in cui non abbia ringraziato tutto quel pedalare e girare, quel conoscere e vedere”.

Istanti, incontri, anche incantesimi. “Passaggio a livello. Jacques Anquetil perde una borraccia. Io, che ne ho due, gliene do una. Lui la prende e beve, a gocce, come un uccellino. E fino alla fine di quel Giro d’Italia, ogni volta che mi vede, mi dice grazie. Lui, Anquetil, il più elegante, il più signore, il più grande di tutti”.
Marco Pastonesi

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