Addio a Furio Colombo che ci svelò l’America
È scomparso a 94 anni l’intellettuale e politico.
A lui si deve l’istituzione del Giorno della Memoria.
Oggi i funerali
Addio al giornalista che fu parlamentare in tre legislature
Una vita spesa tra l’italia e gli Stati Uniti, i ruoli alla RAI e alla FIAT
Preveggente - Già nel 2001 aveva intuito i problemi legati alle nuove tecnologie.
E, dopo, le potenzialità di espansione del populismo xenofobo
15 Jan 2025 - Corriere della Sera
di Antonio Carioti e Aldo Cazzullo
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L’aspetto esteriore di Furio Colombo, scomparso ieri all’età di 94 anni, non lasciava trasparire l’estrema intensità della sua passione politica e civile. I modi cortesi, l’eleganza curata da manager di primo piano, la voce impostata, la capacità di parlare con assoluta proprietà di linguaggio, senza mai perdere il filo del discorso, ne esaltavano la signorilità di scrittore, giornalista, uomo di cultura. Ma poteva mostrarsi anche — senza mai apparentemente scomporsi troppo — duramente polemico, persino fazioso, quando riteneva che valori fondamentali fossero in gioco.
Con questo atteggiamento aveva diretto il quotidiano ex comunista «l’unità», tra il 2001 e il 2005, conducendo una battaglia a viso aperto, con titoli spesso gridati, contro quel Silvio Berlusconi la cui leadership governativa reputava una iattura per l’italia. Ammiratore degli Stati Uniti, dove aveva trascorso lunghi anni, sostenitore convinto dello Stato d’israestesso le, Colombo riteneva però che le minacce per la democrazia venissero quasi esclusivamente da destra. Criticava anche l’uso dell’aggettivo «totalitario», perché non gli pareva equo avvicinare il dispotismo di stampo sovietico ai regimi fascista e nazista, responsabili della Shoah. A lui si deve l’iniziativa della legge che ha istituito il Giorno della Memoria per ricordare ogni 27 gennaio il genocidio antiebraico nell’anniversario della liberazione di Auschwitz.
Per contrastare la commistione tra politica e affari, i tentativi d’imbrigliare l’informazione, le spinte xenofobe più o meno mascherate, Colombo non esitava a usare toni da militante, che a qualcuno potevano sembrare squilibrati o comunque eccessivamente allarmistici. E questo aveva finito per procurargli antipatie anche a sinistra, tanto che aveva finito per affidare i suoi interventi al «Fatto Quotidiano», giornale che aveva cofondato nel 2009 e che poi aveva lasciato in dissenso con la linea tenuta sull’invasione dell’ucraina.
Nato a Chatillon, nella Valle d'Aosta, il 1° gennaio 1931, Colombo aveva seguito un doppio binario: dirigente della Olivetti in Italia e negli Stati Uniti, aveva collaborato sin da giovane con la RAI, dove si era messo in mostra per le doti di comunicatore e la solida preparazione. Partecipe dei fermenti letterari più significativi degli anni Sessanta, in particolare la Neoavanguardia del Gruppo 63, dal 1965 al 1972 era stato responsabile dei programmi culturali nel servizio radiotelevisivo pubblico, realizzando documentari di notevole interesse. Al mondo dei media aveva dedicato un’assidua attenzione e numerosi libri: anche per questo era così sensibile al tema della commistione tra politica e mezzi di comunicazione, quindi così critico verso Berlusconi. Nel 1975, da firma della «Stampa», gli era capitato di realizzare l’ultima intervista con Pier Paolo Pasolini, poche ore prima che il poeta fosse assassinato, pubblicata poi pochi giorni dopo il delitto. Si tratta di un documento impressionante, per il quale lo stesso Pasolini aveva proposto il titolo, retrospettivamente profetico, «Siamo tutti in pericolo». Una conversazione appassionata, nella quale spiccava la dialettica tra il pessimismo apocalittico del regista e la visione illuminista, certamente meno severa verso la modernità, dell’intervistatore.
Molto apprezzato dall’avvocato Gianni Agnelli, Colombo era stato corrispondente della «Stampa» e poi negli anni Ottanta aveva rappresentato la FIAT negli Stati Uniti, fino a diventare nel 1989 il presidente della branca americana dell’impresa automobilistica. Nello periodo aveva pubblicato con lo pseudonimo Marc Saudade tre romanzi editi da Mondadori, Bersagli mobili (1984), L’ambasciatore di Panama (1985), El Centro (1987): storie crude nelle quali evidenziava gli abusi a danno dei più deboli che si perpetravano (e purtroppo ancora si perpetrano) nei Paesi poveri, anche per responsabilità dell’Occidente.
Colombo, docente alla Columbia University di New York, era stato tra i primi, da fautore di un liberalismo progressista kennediano, a mettere in rilievo l’importanza che il fattore religioso andava assumendo nella vita politica degli Stati Uniti, con l’ascesa di una nuova destra d’ispirazione evangelica, trainata da telepredicatori spesso ambigui. Sull’argomento aveva scritto uno dei suoi saggi più famosi, Il Dio d'America (Mondadori, 1983). E sempre negli USA aveva conosciuto la moglie, la scrittrice statunitense Alice Oxman.
Nel 1991 Colombo aveva preso nettamente posizione a favore della prima guerra del Golfo contro Saddam Hussein, dopo l’invasione irachena del Kuwait, ed era stato nominato direttore dell’istituto italiano di cultura a New York. Era poi tornato nel 1994 in Italia, dove l’avvento della nuova fase politica determinata dalla fine degli equilibri tradizionali ne aveva fatto un avversario strenuo di Berlusconi, al quale rimproverava tra l’altro lo sdoganamento, a suo avviso prematuro, del mondo missino; significativo, a tal proposito, il suo dialogo polemico con Vittorio Feltri pubblicato da Rizzoli nel 1994 con il titolo Fascismo/antifascismo.
Eletto deputato dell’ulivo nel 1996, era stato incaricato nel 2001 di rilanciare «l’unità», che aveva chiuso nell’agosto dell’anno precedente, e lo aveva fatto a suon di polemiche contro Berlusconi, tornato proprio in quell’anno a Palazzo Chigi. Allarmava Colombo soprattutto la scarsa sensibilità della stampa e dei cittadini di fronte alle mosse spregiudicate del centrodestra di governo, specie in fatto di leggi ad personam in campo giudiziario: «La libera opinione pubblica in Italia — aveva scritto — è come un muscolo disattivato». Dopo aver lasciato «l’Unità» nel 2005, Colombo era tornato in Parlamento (prima al Senato e poi alla Camera), dove si era caratterizzato per il gran numero di voti espressi in dissenso con il gruppo del Partito Democratico, al quale apparteneva. Tra l’altro aveva intuito per tempo le potenzialità di espansione del populismo xenofobo e già nel 2012 aveva pubblicato il pamphlet di denuncia Contro la Lega (Laterza). Quando poi Matteo Salvini era giunto al ministero dell’interno, ne aveva preso di mira la politica sull’immigrazione con il libro Clandestino. La caccia è aperta (La nave di Teseo, 2018).
Altrettanto preveggente si era mostrato anni prima, nel 2001, sui problemi legati alle nuove tecnologie. Nel romanzo Privacy (Eri-Rizzoli) aveva immaginato che dispositivi per il controllo delle menti fossero messi al servizio del fondamentalismo religioso. E al «Corriere» aveva illustrato i contenuti del suo libro con un monito che pareva quasi prefigurare l’universo dei social network: «Sta salendo dal basso una volontà di rinuncia alla privacy, in cambio della notorietà a qualsiasi costo».
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