FURIO COLOMBO (1931-2025) - L’UOMO DALLE MILLE VITE



Dai Kennedy a “Unità” e “Fatto”: ha vissuto tante vite straordinarie

Protagonista - Estraeva storie sui Beatles e sui presidenti americani. E fu il solo a salvarsi da un disastro aereo: caso unico

» Antonio Padellaro
15 Jan 2025
Il Fatto Quotidiano

Furio rispondeva a tutti i lettori (anche alle cartoline) perché, diceva, sono brave persone che ci comprano e meritano gratitudine. Io non riuscivo sempre a farlo (pur ricevendo molta meno posta di lui) e memore della sua lezione mi sentivo pigro e irrispettoso.

Agli albori dell’unità, lo raggiungevo al bar dell’hotel Plaza, a due passi da Montecitorio (un tocco di Fifth Avenue e due di generone romano) e lì sui divani morbidi immaginavamo un giornale della sinistra: duro, puro e con una spruzzata di seltz.

UN GIORNO ricevette non so quale collega americano con cui si mise a parlare in uno slang incomprensibile per chi si era fermato al secondo corso dello Shenker. Se ne accorse, non fece una piega e per togliermi dall’imbarazzo cominciò a parlare in italiano lasciando l’altro di sasso. Lui era naturalmente gentile e cercava, nei limiti del possibile, di non far pesare la distanza tra Furio Colombo e il resto del mondo. Almeno con le persone a cui voleva bene. Di darsi delle arie ne avrebbe avuto tutto il diritto alla luce di una vita straordinaria. Quando facemmo il nostro ingresso nella redazione di via Due Macelli, lui direttore e io condirettore, trovammo solo macerie. Telefoni scollegati, polvere, cartacce, libri squadernati sul pavimento. Sul momento avemmo la sensazione di una impresa impossibile. Cominciamo a convocare i redattori spediti in cassa integrazione. Molti si dichiaravano delusi, oppure avevano trovato altre occupazioni: c’era perfino chi sosteneva di aver mutato idee politiche.

INIZIAMMO a fare il giornale affidandoci a dei volontari (nel senso di giornalisti coraggiosi). E, naturalmente, alla genialità del direttore. Imperdibili erano le riunioni di mezzogiorno quando Furio raccontava, a puntate, la storia della sua vita: un autentico show. Aveva conosciuto tutti. Quattro o cinque presidenti degli Stati Uniti, grandi scrittori, stelle dello spettacolo. Estraeva dal cilindro storie straordinarie del tipo: quando scrivevo i testi per Joan Baez, oppure, quella volta che accompagnai i Beatles in India. Noi che i Beatles li avevamo visti sulle copertine dei dischi, ascoltavamo sbalorditi. Qualcuno si mostrava incredulo: figuriamoci! Era tutto vero.

Furio ha vissuto nelle sue molte vite delle esperienze uniche, straordinarie. Le supera tutte quella dell’aereo precipitato. Lui si trovava a bordo e fu l’unico a salvarsi. Un caso quasi unico nella storia dell’aviazione civile.

Ne era stato protagonista perché ha avuto un’esistenza da protagonista. Ne venne fuori un giornale sorprendente, che riscosse un grande successo di pubblico soprattutto perché il direttore sapeva raccontare, con una scrittura magistrale, ciò che aveva visto con i suoi occhi: sapide paginate nelle quali narrava le stesse cose con cui nelle riunioni ci deliziava. Arrivammo a sfiorare le centomila copie, una specie di miracolo per un quotidiano già dato per morto. Alle Feste de l’Unità, incantava il pubblico con maestria affabulatrice.

FU MANDATO via da una politica insofferente: il giornale rifondato da una cordata di imprenditori progressisti riceveva attraverso i DS i contributi pubblici. La nomenclatura ce lo faceva pesare e storceva il naso per la troppa libertà che c’eravamo presi rispetto alla sinistra bigotta. Soprattutto timorosa per gli attacchi frontali che da quelle pagine disturbavano il sommo manovratore: ovvero Silvio Berlusconi.

La parola inciucio non aveva per noi segreti. Un giorno chiedemmo di essere ricevuti dai vertici del partito. Furio disse chiaro e tondo che eravamo pronti a rinunciare a quei soldi, ma che ci lasciassero in pace. Per un po’ funzionò. Capitava che io e lui non fossimo d’accordo. I suoi successi di grande inviato, saggista, manager (fu al vertice della FIAT USA su indicazione dell’avvocato Gianni Agnelli che quando sbarcava a New York si abbeverava dei suoi racconti) spesso lo facevano volare troppo in alto sulle miserie della cronaca, quelle che fanno vendere più copie.

IL GIORNO DELLA TRAGICA morte del supercampione Marco Pantani non capiva perché noi altri in sala-macchine volessimo dedicare un paio di pagine almeno alla vicenda. Seguirono telefonate di fuoco. “Non mi farò portare via il giornale da un ciclista”, fu il suo epitaffio, anche se poi si fece convincere a malincuore.

Quando cominciò l’avventura del Fatto, fu subito al nostro fianco. Opinioni spesso divergenti sulla guerra in Ucraina e sulla responsabilità della presidenza Biden (che Furio da democratico doc non discuteva) separarono le nostre strade professionali. Non certo quelle umane. Fu uno strappo doloroso che cercavamo di lenire con lunghe telefonate dove si rideva e s’imparavano (io) cose.

UOMO dal multiforme ingegno, Furio sapeva di architettura, musica, cinema e di ogni arte che nutrisse la sua insaziabile voracità intellettuale. È stato l’ultimo kennediano. A sentirlo parlare di America quasi si respirava quel vento di utopia e libertà che aveva gonfiato le vele della Nuova Frontiera.

Robert Kennedy che placa la rivolta del ghetto nero di Los Angeles salendo sul tettuccio di un’auto per meglio farsi ascoltare dalla folla in tumulto, è uno dei suoi racconti più vividi. Conservava una istantanea dove ad aiutare il senatore a conquistare quel palco improvvisato c’era un giovane Furio Colombo.

Se ne è andato nel momento in cui, nel suo Paese di adozione, stava per celebrarsi lo strapotere della volgarità e della prepotenza. Era davvero troppo per lui.


***

Lo stile “liberal”, i due giornali per noi profughi e qualche litigata

» Marco Travaglio
15 Jan 2025 - Il Fatto Quotidiano

La prima volta che ci incontrammo fu nel 2002 nel suo ufficio di direttore de l’Unità, in via Due Macelli a Roma. E secondo me l’Unità, nelle tante vite che ha vissuto Furio Colombo in appena 94 anni, fu il suo capolavoro. Lui, che mai aveva votato PCI, un anno prima aveva accettato l’offerta di un gruppo di imprenditori di resuscitare la storica testata ex comunista, uccisa dai geni del partito, per farne un giornale libero, cioè non più di partito. Una specie di campo profughi per chiunque, dalle più diverse posizioni ed estrazioni, volesse combattere l’unica battaglia degna di quegli anni: contro B. e il berlusconismo, cioè in difesa della Costituzione, della legalità e della decenza. Così, con quel comune denominatore, ci ritrovammo in tanti, sotto la sua guida e quella del condirettore Padellaro, a fare uno straordinario giornale che riusciva a rompere le palle tanto alla cosiddetta destra al potere quanto alla cosiddetta sinistra all’opposizione (si fa per dire). Naturalmente durò pochissimo: il partito, anzi la Ditta si riprese l’unità per ammazzarla un’altra volta, facendo fuori prima lui, poi Padellaro. E ci rivedemmo al Fatto.

Litigare con Furio era facilissimo, almeno per me: lui “liberal”, io “liberale”, e giuro che la differenza non era soltanto in una vocale. Anche se poi quasi sempre si ricomponeva nell’essere entrambi “liberi”. Abbiamo convissuto, con le rispettive e spesso diverse visioni del mondo, fino alla sua dolorosa uscita dal Fatto nel 2022, che esplicitammo sulle nostre pagine, per non nascondere nulla ai lettori. Se fosse rimasto avremmo forse litigato ancora, per esempio su Israele e Gaza, sull’Ucraina, sulla UE, su Trump e Musk. E sarebbe stato un arricchimento per il giornale e per i lettori. Ogni tanto lo vedevo in tv, splendido ultranovantenne combattivo come un ragazzo. Aveva appena finito un nuovo libro, che uscirà postumo. Ha vissuto una grande e bella vita, anzi mille grandi belle vite in una. E per noi che ne abbiamo incrociato qualche frammento è stato un privilegio.

***

L'INTERVISTA 
“Antiberlusconiani rimasti senza posizioni di rilievo E ora sono tornati i fascisti”

15 Jan 2025 - Il Fatto Quotidiano

Pubblichiamo alcuni stralci dell’intervista rilasciata sul nostro giornale da Furio Colombo a Gad Lerner, in occasione del 90esimo compleanno, il 30 dicembre 2020.

"A l’Avana, Che Guevara scarrozzò me, 
Sartre, Simone de Beauvoir e Françoise Sagan"

- Accidenti, Furio Colombo, se ne hai da raccontare! Per esempio: con chi hai festeggiato i tuoi trent’anni nel 1961? Ti do un aiutino, eri all’hotel Nacional a l’Avana.

Ma certo, venne lì Che Guevara e ci scarrozzò su un’automobilaccia americana, con frenate improvvise in giro per la città su strade piene di buche. Con me c’erano Jean-Paul Sartre, Simone de Beauvoir e Françoise Sagan, venuti a festeggiare il primo anniversario della rivoluzione cubana. (...) 

- Beato te. (...) A New York avevi già intervistato Eleonor Roosevelt, preso il caffè con Marilyn Monroe, stretto amicizia con Martin Luther King e i Kennedy. 

Per scoprire quell'America, che fin da bambino identificavo col mito della libertà, avevo lasciato un’ottima posizione al telegiornale della RAI e fatto mia la sfida di un imprenditore illuminato, Adriano Olivetti. 

- In RAI eri entrato nel 1954 a Torino vincendo un concorso insieme con i tuoi inseparabili amici Umberto Eco e Gianni Vattimo. Il giornalismo era la vostra vocazione?

Macché, quel concorso lo avevamo fatto per gioco. La mia passione era la letteratura, la loro era la filosofia. (...) Non cercavamo un lavoro, lo avevamo già: eravamo curiosi. (...)

- E allora perché cinque anni dopo ti lasci convincere da Adriano Olivetti alla nuova avventura?

Perché Olivetti era un uomo straordinario, non solo per capacità imprenditoriale ma per visione sociale. (...) (...) Intanto in Italia il modello d’impresa olivettiano veniva sconfitto. Prevalse quello gerarchico torinese della FIAT. 

- Dove anche tu saresti approdato, come uomo di fiducia di Gianni Agnelli negli USA, molti anni dopo, nel 1978.

Ad Agnelli interessava l’America che frequentavo. Era una specie di monarca costituzionale di fronte a cui feci valere con successo le mie idee.

- (...). Fu Veltroni nel 2001 a proporti la direzione de l’Unità.

Dal 1996 ero deputato nelle liste del PDS (...). Con il segretario Veltroni eravamo molto amici. (...) Confidava che il mio stile frizzante rimanesse però ben calibrato nel solco della linea di partito. Che equivoco: avevo sì bei modi, ma non mi lasciavo comandare.

- A l’Unità portasti al tuo fianco Antonio Padellaro.

Antonio era stato capo della redazione romana del Corriere; a differenza di me sapeva come funziona la macchina di un giornale. Nacque un sodalizio formidabile, anche con la redazione. Mi stupì invece la diffidenza del partito. Noi credevamo di avere a che fare con un partito integralmente di sinistra. Invece scoprimmo che si pretendeva una mitezza tale da coprire rapporti tutto sommato benevoli col governo di destra, da cui scaturissero anche nomine e scelte condivise. (...). L’Unità si avvicinava alle centomila copie ma rompeva la cautela necessaria (...).

- Si può dire che l’esperienza del nasce anche da quella rottura?

Indubbiamente sì. C’era bisogno di chi avvertisse quelle premonizioni di regime, perfino di fascismo. (...) Ci hai fatto caso? In Italia nessuno di coloro che hanno perseguito davvero l’antiberlusconismo figura in posizioni di rilievo nella vita pubblica. Mentre invece sono tornati i fascisti, una traiettoria rovesciata. (...)

***

LA BIOGRAFIA

ALLA RAI
• Negli anni Cinquanta assieme a Umberto Eco, Gianni Vattimo e Piero Angela scrisse e realizzò per la RAI programmi culturali, documentari, reportage. Giornalista professionista dal 1967

NEGLI STATI UNITI
• Fu corrispondente dagli Stati Uniti per La Stampa e scrisse per il New York Times e per la New York Review of Books, insegnando giornalismo alla Columbia University

PASOLINI NEL 1975
• Nel novembre 1975 fu autore dell'ultima intervista rilasciata da Pier Paolo Pasolini, che fu pubblicata da La Stampa il giorno prima dell'omicidio dello scrittore

PARLAMENTARE
• Deputato del PDS e poi senatore del PD. Nel 2001 venne nominato direttore de l’Unità, rinata dopo il fallimento del 2000. Nel 2009 è stato tra i fondatori del “Fatto”


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