Colombo alla conquista dell’America
Gli incontri di una vita
Qui sopra, da sinistra: Gianni Agnelli, Henry Kissinger, Furio Colombo.
Foto in alto: da sinistra Edoardo Sanguineti, Umberto Eco, Furio Colombo, Alberto Arbasino.
Foto al centro: in primo piano da sinistra Elio Pagliarani, Furio Colombo, Giuseppe Ungaretti e Carla Vasio.
IL RICORDO - Il giornalista, ex parlamentare, è morto a Roma a 94 anni.
Negli USA per conto di Olivetti e poi di Agnelli, fu protagonista della vita culturale
GIANNI RIOTTA
La Repubblica
Mercoledì 15 Gennaio 2025 - Pagina 36
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È il 1962, la cantante Joan Baez cerca qualche soldo per produrre una canzone del suo nuovo boyfriend, Bob Dylan, per i diritti servono 500 dollari, oggi circa 5000, nessuno è disposto a tirarli fuori, se non il giovane italiano Furio Colombo – morto ieri a Roma a 94 anni – che il geniale imprenditore Olivetti ha spedito a New York per cogliere idee nuove: Furio stacca un assegno senza chiedere nulla in cambio e nasce la classica ballata Blowin’ in the Wind.
1968, la RAI invia Furio Colombo ad Hanoi, per raccontare la guerra in Vietnam durante l’offensiva del Tet, il Capodanno lunare, le immagini in bianco e nero impressionano lo stesso leader della Democrazia Cristiana, Aldo Moro, ma il giornalista non fa in tempo a tornare in Italia, perché i Beatles decidono di recarsi nel nord dell’India, vogliono meditare con il guru Maharishi Mahesh al santuario di Rishikesh. Incenso, corone di fiori, nenie nell’ashram, Lennon, Harrison, McCartney, Ringo Starr, mogli, amici, groupie e Furio Colombo a girare per i viali, con operatore e taccuino.
Nel 1963, invece, scoop mancato con l’intervista a Martin Luther King (recuperata nel 1967): il giorno dell’appuntamento per TV7 il reverendo nero, leader dei diritti civili viene arrestato in Alabama dalla polizia razzista. Per il servizio Furio Colombo incontra lo sconosciuto braccio destro di King, Andrew Young, futuro sindaco di Atlanta e ambasciatore all’ONU, scoop e amicizia per la vita.
Giornalista, dal leggendario Mondo di Mario Pannunzio, a La Stampa, Repubblica, Unità e Fatto, scrittore e romanziere con lo pseudonimo di Marc Saudade, raziocinante critico nel tumulto dell’avanguardia Gruppo 63, ma anche uomo d’azienda, dopo Olivetti sarà presidente della FIAT USA chiamato da Gianni Agnelli. «Scelsi Furio perché accanto ai manager, Gabetti, Garraffo, Ghidella, Gubitosi, ci serviva un intellettuale. Colombo alza il telefono e chiama il senatore Ted Kennedy, l’ambasciatore van den Heuvel è suo amico e andando all’aeroporto JFK ti spiega chi sono gli ultimi artisti dei murales e dei graffiti» ricordava compiaciuto l’Avvocato.
Docente alla Sorbona, Barnard College e Columbia University – sui banchi incontrerà l’adorata moglie Alice Oxman, scrittrice e attrice per Fellini in Roma, la figlia Daria è una importante ricercatrice –, poi direttore dell’Istituto di Cultura a New York, con il socialista Gianni De Michelis a piegare i dubbi del DC Giulio Andreotti per la nomina, Furio Colombo porta Oriana Fallaci nella townhouse su Park Avenue, poi Susan Sontag, la saggista USA, quindi il fraterno amico Umberto Eco e la coda per le conferenze si snoda lungo isolati, lasciando perplessi gli aristocratici della zona: «This Furio is unstoppable».
Quindi la politica, il parlamento, persuaso a tu per tu da Walter Veltroni, e il moderato Colombo lascia posto a un polemista irriducibile contro i governi di Silvio Berlusconi. «Eppure» ricorderà ridendo Colombo «all’alba della sua avventura da magnate tv Berlusconi venne a trovare me e Umberto Eco a New York, “Siete esperti di comunicazione, voglio sentire il vostro parere”. Gli parlammo per due ore, ci ringraziò, tornò a Milano, fece l’opposto dei nostri suggerimenti e nacque il suo boom».
Da deputato, Colombo lavora all’americana, gira per i quartieri di Torino, casa per casa si informa dei bisogni e quando dirigerà l’Unità con Antonio Padellaro ne farà foglio di polemiche e campagne-stampa. Qualcuno dei vecchi torinesi storce il naso, Furio ripensa a King e ai diritti civili e va avanti. Businessman, inviato, autore, deputato, direttore in ciascuna delle tante vite di Colombo il tratto comune è la generosità. Paolo Mieli, allora direttore del Corriere della Sera, ricorda: «Ricevevo tante richieste di raccomandazione, spesso per figli di personaggi e VIP, solo Furio mandava curriculum di studenti poveri, disoccupati, gente semplice e piena di talento».
Al Century Club, il circolo più prestigioso di New York, Colombo porta alla esclusiva sala da pranzo dei soci il borsista squattrinato della Fulbright, la studentessa di architettura della Statale, Matteo Pericoli, debuttante designer e figlio del pittore Tullio.
Al ragazzo che gli chiede una lettera di referenza per un’università della Ivy League, Furio Colombo dà appuntamento alla presentazione del suo libro più importante, Il Dio d’America , tra flash, grandi firme, ministri, docenti, star del cinema. «La chiamerò!», promette, passando il curriculum ad Alice e si allontana nella folla plaudente. Il ragazzo va a casa deluso, tre giorni dopo riceve la telefonata della mitica segretaria FIAT al Seagram Building, Carmela, «Le passo il presidente!» e Colombo conferma l’ammissione all’ateneo desiderato.
Compagno di film, Il caso Mattei, e di cene in via Gregoriana a Roma del regista Franco Rosi, a caccia di idee in casa di Eco al Castello Sforzesco a Milano, con l’architetto Pierluigi Cerri, il musicista Luciano Berio, amico degli esordi in RAI, al tavolo con Carlo Di Palma, direttore della fotografia di Antonioni e Woody Allen, Furio Colombo non si fermava al conformismo e allo statu quo: sperimentare il futuro era per lui laboratorio quotidiano.
Sui valori, invece, l’antifascismo, la democrazia, la giustizia contro le dittature, il Furio garbato e gentile lasciava il posto a un irriducibile uomo della sinistra raziocinante, incapace di compromessi, viltà, opportunismi.
Un ricordo collettivo non deve lasciar posto a sentimenti e memorie private, faccio eccezione per una volta, per ricordare le valigie affiancate di Eco e Colombo in viaggio, allegro disordine per Umberto, ordine perfetto per Furio, coetanei, Capricorno, opposti e gemelli sempre; le chiacchiere con lui e Andrea Barbato in riva al mare, incerti se tornare alla spiaggia della loro gioventù; il concertino con opera dei pupi che Furio Colombo, Umberto Eco, Alice Oxman, Renate Eco e Luciano Berio improvvisano a Pasqua per mio figlio Michele, suonando clarino e flauto, incrociando marionette, cantando, con Di Palma a scattare foto e dare a tutti il ciak.
«Abbiamo avuto il dono di parlare alle persone – insegnava Furio Colombo – ma non dobbiamo dimenticare che sono loro il soggetto, non noi, sono loro a contare e fare la storia, noi siamo testimoni e cronisti, umili», perché, come allora, le risposte soffiano nel vento.
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