De Matha vs. Power Memorial: i Fantastici Sei e una racchetta

CHRISTIAN GIORDANO
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Rullo di tamburi. Il 30 gennaio 1965, nel tutto esaurito della Cole Field House della University of Maryland si disputa una partita fra scuole superiori cattoliche che farà epoca: la Power Memorial del più rinomato liceale di sempre, il senior Lew Alcindor, contro la DeMatha allenata da Morgan Wootten, dall’ottobre 2000 primo dei tre coach di high school eletti nella Hall of Fame. Gli Stags, imbattuti da 29 gare, vincono 46-43 e fermano a 71 la striscia dei successi newyorkesi. 

Alla nona stagione con coach Wootten, la DeMatha – futura potenza cestistica di Hyattsville, sobborgo di Washington, nel Maryland – era ormai sulla mappa del basket nazionale. 

Alcindor – che nel 1971, in seguito alla conversione all’islam, cambierà legalmente il nome in Kareem Abdul-Jabbar – condurrà poi la Power al terzo titolo cittadino consecutivo. Quella sera però nemmeno lui, tre volte All-American in altrettante stagioni di eleggibilità e primo sophomore nel quintetto ideale della rivista Parade, poté nulla contro The Fabulous Six: Bernard Williams, Ernie Austin, Sidney Catlett, Bob Whitmore, Mickey Wiles e Bob Petrini. Tutti re per una notte contro il centro che lascerà la Power con 2.067 punti e 2.002 rimbalzi in carriera, record della City in entrambe le categorie statistiche. 

Quando vi si era iscritto, Alcindor era alto 2.02 e già al primo anno era cresciuto fino a 2.12. Dopo essere stato messo in imbarazzo dalla più esperta Erasmus Hall HS in uno scrimmage prima che iniziasse la stagione, il freshman giurò che la cosa non si sarebbe ripetuta e lavorò duro sul proprio gioco, imparando a sfruttare la statura e le straordinarie doti atletiche. La squadra perse 6 partite, ma dalla stagione successiva, con quel rinforzo, la musica sarebbe cambiata. 

Quella subita, nel suo anno da senior, contro la DeMatha Catholic fu l’unica sconfitta di Big Lew nei suoi tre anni di competizione agonistica al liceo, e la sola che il futuro vincitore di 3 titoli consecutivi NCAA (con UCLA), di 6 anelli NBA (di cui è capocannoniere di ogni epoca), mai avrebbe dimenticato. «Loro erano una buona squadra, ben allenata e con una tradizione vincente. E in più aveva una voglia matta di prenderci a calci nel didietro», dirà poi Alcindor dei ragazzi guidati dal mago che, agli Stags dal 1956 al 2002, diventerà il tecnico con più partite vinte nella storia del basket di high school: 1.274-192 il bilancio, corredato da 14 titoli cittadini e 31 di conference. Per non parlare dei suoi 13 ex allievi poi transitati in NBA, tra cui la star Adrian Dantley e gli ex italiani Danny Ferry e Joe Forte. 

«Nel paese fu la partita di high school dell’anno, forse di sempre – ricorda Wootten – L’anno prima ci avevano battuti all’ultimo minuto, di tre punti. E Kareem ne aveva segnati 38. Nella partita del 1964 lo “lasciammo segnare”, mentre cercavamo di fermare i suoi compagni. Per la rivincita del 1965, ribaltai la tattica: avremmo cercato di fermare Kareem. Gli altri della Power avrebbero potuto approfittarne. Ma se non ci fossero riusciti, avremmo vinto».

Per abituare i propri giocatori ad affrontare un settepiedi così agile e atletico, in allenamento Wooten mette in mano al suo miglior elemento, il 2.02 Sid Catlett, una racchetta da tennis e in fase difensiva gli fa impersonare Alcindor. «A Sid diedi ordine di stoppare tutto – continua Wooten – Con quella statura e in più la racchetta, sembrava il Washington Monument in divisa DeMatha. Se a questo aggiungiamo le sue doti di elevazione, i nostri tiratori dovevano arcuare molto la parabola, per segnare». Detto, fatto.

In attacco, quelli di DeMatha fanno circolare palla finché non trovano un buon tiro, meglio se scagliato “sopra” Alcindor. In difesa, i lunghi collassano sul centro avversario per impedirne gli scarichi agli altri della Power, che così non possono approfittare della libertà goduta. Ne segue una dura battaglia difensiva nella quale, però, la dominante presenza del numero 33 viene di fatto annullata.

«La DeMatha arrivò preparata – ricorda Abdul-Jabbar – Aveva due big men di 2.02, Whitmore e Catlett, che poi sarebbero andati a giocare a Notre Dame, che mi facevano sandwich, cercando di negarmi il pallone. Rallentavano il gioco, in attacco mi tenevano lontano dalla palla e in difesa su di me raddoppiavano e triplicavano. La gara fu tirata, ma loro giocarono bene e la vinsero nel finale infilando il tiro decisivo». 

«Ci riuscimmo togliendo alla Power il gioco interno e stoppando Abdul-Jabbar, tenuto a 16 punti, 14 sotto media», spiega Wooten. Grazie ai Fantastici Sei. E a una racchetta da tennis.

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