Visentini, re sui pedali


Il personaggio
Trent’anni fa il ciclista di Gardone Riviera festeggiò la vittoria al Giro.
Dopo di lui mai nessuno così forte. Ora coltiva l’attività di famiglia

di LUCA BERTELLI
Corriere della Sera (Brescia), 2 giugno 2016

Un campione. Un cavallo pazzo. Una testa vuota. Un ricco che sulla bicicletta non ci sarebbe mai dovuto salire. Ognuno racconta la sua su Roberto Visentini, odiato da molti e amato da altrettanti. I bresciani, o almeno buona parte di loro, lo hanno sempre difeso perché era di Gardone Riviera e un talento così cristallino, dalle nostre parti, ancora non si è rivisto dal 2 giugno del 1986. Il suo giorno.
Quello del ventinovesimo compleanno, festeggiato con la vittoria al Giro d’Italia dove, tra il 1980 e il 1987, ha indossato 27 volte la maglia rosa. Oggi ricorre il trentennale, le candeline da soffiare sono 59 e il «Visenta» (abita a Salò) svolge ancora l’attività di famiglia «che cominciai a intraprendere tre giorni dopo aver detto basta con la bici. Organizzo funerali, siamo diventati ricchi così. Nostalgia del ciclismo? Mai stato meglio…» .

- Il flash che ricorda di quel giorno di 30 anni fa?

«Una grande gioia, la festa con i miei tifosi. Avevo persino un polso fratturato. Non ero fortunato,
l’anno prima mi ruppi la tibia. Ma andavo più forte degli altri, il resto sono chiacchiere».

- Come quelle sulla sua “bella vita”?

«Dicevano che non meritavo di vincere perché avevo la Ferrari. Certi miei colleghi avrebbero potuto comprare un elicottero. Discorsi da barboni. Io facevo una vita da atleta e faticavo come tutti gli altri».

- Un giro in bici ogni tanto se lo concede?

«Di rado, preferisco lo scooter. Anche quando correvo, mi divertivo con le gare di enduro. Mi piacciono tutti gli sport tranne – ride – il ciclismo. Eravamo troppo diversi, ho tenuto duro 12 anni e poi ho detto basta. A mio figlio Matteo, architetto, ho detto di non correre. Le mie maglie storiche le tiene lui».

- Non ha visto nemmeno la vittoria di Nibali in tv?

«L’ho sentita ai telegiornali, mi creda. Una cosa però la devo dire: Vincenzo è un campione, come
altri 4­5. Non ne vedo altri in giro, c’è meno classe e competitività rispetto ai miei tempi. Ho amato anche Pantani, ora però lo lascino riposare in pace».

- Quando è stato davvero felice, da ciclista?

«Giro del 1987, cronometro di San Marino. Io, forte come non mai. Il pubblico tutto per me. Che
bello».

- Poi arrivò Sappada. E il compagno Roche le sfilò la maglia. Si racconta che il tradimento derivò da un suo diniego a fargli da gregario al Tour.

«Falsità. Resta un episodio gravissimo. Se io perdo perché mi stacco in salita, lo accetto. Se un mio
uomo contravviene agli ordini di scuderia, non ci sto. Andò così. Poi ovviamente in Francia non ci andai. Dissi a Roche di non farsi vedere in giro, altrimenti…». Lì si spense la luce? «Sì, andai avanti sino al 1990, anche con altre squadre. Ma era finita».

- Non la invitano mai a vedere qualche tappa?

«Sempre. Sono io che non vado, perché poi mi troverei davanti quelli che mi hanno fregato. E li
manderei al diavolo. Lo facevo anche in corsa, con tutta la fatica che facevo ci mancava solo di tagliarmi la lingua».

- Usi tre aggettivi per raccontare Visentini a chi non l’ha mai vista correre?

«Grintoso. Sfigato. Grande sciatore».

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