Kurt Hamrin, storia di un campione



“La maglia viola è la prima cosa che ho in mente quando penso al calcio”

Anche con il mese di maggio torna l’appuntamento con “Piana viola”, la rubrica curata dal Museo Fiorentina e che tutti i mesi ci propone il ritratto di uno dei calciatori che hanno contribuito a scrivere la storia della Fiorentina. Oggi è la volta di Kurt Hamrin, colui che fino all’arrivo del “re leone”, Gabriel Omar Batistuta, ha avuto il primato di reti segnate con la società gigliata, 150 in serie A in 289 partite. In maglia viola ha disputato 9 campionati, vincendo 2 Coppe Italia e una Coppa delle Coppe. Quindi nel 1967 è passato al Milan. Un “uccellino”, questo il suo soprannome che ha reso grande la Fiorentina.

CAMPI BISENZIO – Due volte la Fiorentina ha fatto l’accoppiata, vincendo, nella stessa stagione, la Coppa Italia e una coppa europea. E in entrambi i casi c’era, in maglia viola, Kurt Hamrin. Successe nel 1960-1961, quando la Fiorentina vinse la prima edizione della Coppa delle Coppe e la Coppa Italia e nel 1965-1966 con le vittorie in Coppa Italia e nella Mitropa Cup (altri protagonisti delle doppie imprese furono Enrico Albertosi, Sergio Castelletti, Rino Marchesi e Piero Gonfiantini, nato e tuttora residente a Signa). “Uccellino”, questo il suo soprannome, guadagnato grazie alla facilità di superare gli avversari e prendere il volo in campo, è stato uno dei giocatori più forti ad avere indossato la maglia viola. Era stata una battuta di un grande personaggio fiorentino (Renzo Propidi, in arte il Conte Razza), ripresa e amplificata su “La Nazione” da Beppe Pegolotti, ad assegnargli uno dei soprannomi più amati dai tifosi viola.

La scheda mostra la sua carriera gigliata e il suo palmarès. Il grande rimpianto, condiviso con altri campioni a partire da Antognoni e Batistuta (che lo ha superato come miglior realizzatore in serie A, ma non come marcatore nelle partite ufficiali), è quello di non essere riuscito a vincere lo scudetto con la Fiorentina, che con lui due volte è arrivata seconda e una terza.

Kurt Roland Hamrin, nato a Stoccolma il 19 novembre 1934, era approdato giovanissimo nell’AIK, una delle maggiori squadre svedesi. A 19 anni esordì nella nazionale svedese. Oltre al football aveva un’altra importante carriera sportiva aperta: quella di giocatore di hockey su ghiaccio. Quando lo acquistò la Juventus, nell’estate del 1956, era già un calciatore conosciuto, pronto al passaggio dal dilettantismo scandinavo al nostro remunerato professionismo. Il primo anno in Italia fu un anno complicato, segnato dal difficile ambientamento, suo e della moglie Marianne, e dagli infortuni. Venne etichettato, anche per le sue dimensioni fisiche, giocatore troppo fragile per la serie A. A Torino gli affibbiarono il brutto appellativo di “caviglia di vetro”. L’anno successivo, in prestito al Padova allenato da Nereo Rocco, il talento di Kurt spazzò ogni perplessità: segnò venti reti in trenta partite conducendo i patavini ad un prestigioso terzo posto. La Juventus non aveva creduto in lui e lo cedette, per 100 milioni, alla Fiorentina. I viola dovevano sostituire l’asso brasiliano protagonista dello scudetto 1955-1956 e che dopo tre campionati, corroso dalla saudade, tornava a San Paolo: Julinho.

Il 25 maggio 1958, ultima giornata di campionato, la Fiorentina sconfisse (6-1) il Padova. Fu l’ultima partita in viola di Julio, ma anche di altri vincitori dello scudetto (Magnini, Virgili, Prini, Bizzarri) e di Fulvio Bernardini sulla panchina gigliata. Poteva essere la partita del passaggio di consegne tra Julinho e Hamrin, ma Kurt era già in Svezia, a preparare, con la sua nazionale, la Coppa del Mondo 1958 che gli svedesi giocarono in casa. La Fiorentina annunciò l’acquisto di Hamrin il giorno dopo la fine del campionato. Ai sostenitori viola sostituire Julinho, in campo e nel loro cuore, apparve un’impresa improba, ma seguirono, con molto distacco, il campionato del mondo a cui l’Italia non partecipò, essendo stata eliminata dall’Irlanda del Nord.

Nella Svezia, oltre a Kurt, giocavano molti calciatori che avevano militato nella serie A (Liedholm, Gren, Skoglund, Selmosson, Bengt Gustavsson, Mellberg) e altri che ci arriveranno (Bergmark, Börjesson). Il cammino dei padroni di casa parve inarrestabile: vinsero il girone eliminatorio, superarono l’Unione Sovietica (2-0) nei quarti di finale e i campioni uscenti della Germania Ovest (3-1) in semifinale, ma in finale si inchinarono davanti a un grandissimo Brasile (2-5) in cui splendeva la stella del diciassettenne Pelè (ma anche quella dei suoi compagni protagonisti della finale: Gilmar, Djalma Santos, Nilton Santos, Zito, Orlando, Bellini, Garrincha, Didi, Vava, Zagalo). Hamrin giocò 5 partite, saltando solo l’ininfluente Svezia-Galles (0-0), segnando quattro reti. Qualche eco arrivò anche a Firenze…


La città incantò la giovane coppia e l’attaccante si affermò subito come protagonista nella Fiorentina guidata dallo “zio Buddha”, il tecnico ungherese Lajos Czeizler. È la stagione dell’attacco atomico (95 reti in 34 partite, record nei campionati a 18 squadre) Hamrin, Gratton, Montuori, Lojacono, Petris. Hamrin fu il capocannoniere viola con 26 reti, conquistando il pubblico del Campo di Marte. L’attacco atomico non fu sufficiente a vincere lo scudetto, a causa di due sciagurate partite perse in casa nel mese di aprile contro la Spal e il Milan. Il campionato si concluse, per il terzo anno consecutivo, al secondo posto. La Fiorentina ci riprovò l’anno successivo. In panchina arrivò l’argentino Luis Carniglia, vincitore di due edizioni della Coppa dei Campioni con il Real Madrid, ma il risultato finale non cambiò: ancora secondi, quella posizione di classifica che i fiorentini non sopportavano più… Kurt bissò il numero di reti dell’anno precedente: 26.

Il campionato 1960-1961 fu un campionato di transizione. Vennero rinnovati i quadri tecnici con il ritorno di Czeizler, ma solo per preparare l’arrivo (a novembre) del campione ungherese Nandor Hidegkuti alla guida della squadra (coadiuvato da Beppe Chiappella). Arrivarono nuovi calciatori e la Fiorentina perse Montuori per il grave infortunio che lo costrinse ad abbandonare il calcio. A fine stagione ci fu l’avvicendamento tra il presidente Befani e l’altro Enrico, Longinotti, l’industriale del ferro su cui la piazza riponeva le speranze per tornare a vincere lo scudetto. Proprio in mezzo al passaggio dirigenziale la Fiorentina vinse la prima edizione della Coppa delle Coppe: Hamrin fu il capocannoniere della competizione, con 6 reti, segnando anche nella finale di ritorno contro i Rangers Glasgow (2-0; 2-1). Pochi giorni dopo i viola si aggiudicarono la loro seconda Coppa Italia, battendo in finale la Lazio (2-0).


La grande occasione capitò nel 1961-1962, un successo in campionato gettato malamente con il crollo finale, dovuto principalmente alla mancanza di rincalzi adeguati. Il terzo posto ebbe il sapore della delusione, e segnò il destino di Hidegkuti. La stagione successiva cominciò, settembre 1962, con la sconfitta nella ripetizione della finale della Coppa delle Coppe subita dall’Atletico Madrid (3-0) a maggio, a Stoccarda, era finita in pareggio (1-1), all’epoca non si tiravano i calci di rigore per designare la vincitrice e non c’era spazio nel calendario per ripetere la gara entro la fine della stagione calcistica. La Fiorentina aveva scelto per la panchina Ferruccio Valcareggi. I viola disputarono un campionato modesto, scoprendosi lontani dalla lotta per lo scudetto. Gli errori e le difficoltà economiche della nuova presidenza resero obbligatorio puntare sui giovani, con Chiappella in panchina. Una scelta che, dal febbraio 1965, il nuovo presidente Baglini renderà strategica, chiamando Pandolfini a dirigere la società. Hamrin, diventato la bandiera della Fiorentina, fu il “garante” di questa scelta. È stato lui la chioccia che ha favorito la crescita dei giovani viola (Brizi, Ferrante, Bertini, Brugnera, Merlo, Chiarugi…).

Il carisma del campione era affiancato da un immenso patrimonio tecnico: il dribbling, secco e naturale, con cui saltava gli avversari; la “rapacità” sotto porta, dovuta a riflessi straordinari e a una grande lettura delle situazioni di gioco, lo caratterizzò come uno dei maggiori opportunisti dell’area di rigore. Un repertorio straordinario per un attaccante che segnava di destro, di sinistro e, nonostante l’altezza, anche di testa. La sua presenza nei primi posti della classifica marcatori fu una costante, così come i suoi acuti, su tutti quello a Bergamo il 2 febbraio 1964: la Fiorentina vinse 7-1 e Kurt segnò cinque gol, stabilendo il record di reti segnate in serie A da un calciatore in trasferta. Hamrin, dopo la cessione di Robotti al Brescia nell’estate del 1965, diventò capitano della Fiorentina nella stagione che consacrò la Fiorentina “ye ye” con il doppio successo: Coppa Italia (eliminando Genoa, Palermo, Milan, Inter e battendo in finale, ai tempi supplementari, il Catanzaro per 2-1) e Mitropa Cup, battendo in finale (1-0) lo Jednota Trencin con una rete di Brugnera.

Kurt è a suo agio nel ruolo di esempio per i giovani viola. La sua classe cristallina si accompagna ad una semplicità tanto umana quanto disarmante: “i miei avversari peggiori? I terzini Giulio Corsini (Atalanta, Mantova, Roma) e Giulio Savoini (Vicenza), non so spiegarlo, ma quando giocano loro l’allenatore farebbe meglio a non farmi giocare…”. Hamrin continua a fare bene il suo mestiere di segnare e a favorire la maturazione dei suoi compagni, ma nelle battute finali del calciomercato 1967-1968 accade quello che i tifosi viola non avrebbero mai voluto vedere. È il 12 luglio: la Fiorentina acquista Amarildo dal Milan in cambio di Hamrin e di 175 milioni di lire.

“Uccellino” vola via con rammarico. A Firenze ha trascorso nove anni, diventando il miglior marcatore della storia gigliata. Due dei suoi cinque figli, Riccardo e Giampiero, sono nati qui, e a tutta la famiglia non va proprio di dover lasciare Firenze. Kurt si nasconde dietro il professionismo, ma dice che dopo nove anni si sente fiorentino e che a fine carriera tornerà sicuramente ad abitare qui. Nove anni in cui, oltre ai gol segnati, c’è l’orgoglio di non essere mai stato ammonito o espulso e di non essere mai stato contestato dai tifosi sempre attaccati ad “Arimme”. Mario Fantechi, grande animatore del tifo e presidente del club “Undici viola”, organizza una cena, con premiazione e saluto di Kurt. A Firenze l’amichevole col Milan, il cui incasso è parte dell’operazione di mercato, si gioca sabato 16 settembre, “Uccellino” è emozionato, saluta tutti gli ex compagni e il pubblico che ha già ringraziato la mattina su “La Nazione”:

Il saluto agli sportivi del giocatore svedese

Kurt Hamrin, ex ala destra della Fiorentina, ha inviato al nostro giornale la seguente lettera, che pubblichiamo integralmente:

“Caro direttore,

mentre sto per scendere sul terreno dallo stadio comunale di Firenze indossando, per la prima volta dopo nove anni, una maglia diversa da quella viola, sento il bisogno di rivolgere un affettuoso saluto a tutti gli sportivi fiorentini per dire loro che, se le leggi dello sport mi impongono di battermi lealmente contro quella che per tanti anni è stata la mia squadra, il mio animo ed il mio cuore mi fanno e mi faranno sempre sentire cittadino di Firenze, dove certamente tornerò con la mia famiglia al termine della mia attività agonistica per non allontanarmi più da quella che è ormai la mia patria di adozione. La ringrazio per l’ospitalità concessami e la prego di accettare i miei più cordiali saluti”


Kurt Hamrin

Dopo nove stagioni in viola Hamrin giocò due anni per il Milan, vincendo uno scudetto, la Coppa delle Coppe nel 1968 e la Coppa dei Campioni nel 1969. Nell’estate del 1969, mentre faceva il corso per allenatore a Coverciano, si candidò per il ritorno alla Fiorentina: “credo che con la Coppa dei Campioni possa aver bisogno di un attaccante esperto come me”, ma il suo appello restò inascoltato e concluse la sua attività italiana a Napoli, prima di tornare a Stoccolma nell’IFK. Anche con il Milan e il Napoli, così come era successo con Juventus e Padova, Kurt non ha mai segnato un gol alla Fiorentina. Come promesso, a fine carriera, Hamrin è tornato a vivere a Firenze, spiegando così il proprio rapporto con la Fiorentina: “La maglia viola è la prima cosa che ho in mente quando penso al calcio”.

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