I 70 anni di Merckx

L’unico campione capace di diventare più celebre del suo stesso sport: «La grande differenza tra il ciclismo dei miei tempi e quello di oggi sta tutta nei soldi. Dovevamo correre tanto e cercare di vincere il più possibile perché i premi erano parte integrante del nostro guadagno. Adesso ci sono ingaggi tali che un corridore può puntare a pochi obiettivi»

di PAOLO TOMASELLI, mercoledì 17 giugno 2015

Certi miti non invecchiano mai, crescono ancora di più col tempo. Eddy Merckx compie oggi 70 anni, ma se Bradley Wiggins dopo il record dell’ora del 7 giugno ha indossato la mitica casacca Molteni, quella del record stabilito dal belga nell’anno di grazia 1972, vuol dire che il Cannibale non è mai sceso dalla bicicletta e resta il grande e inarrivabile punto di riferimento di questo sport e non solo. 

Merckx più di Pelé o Muhammad Ali, allora? Forse sì, perché ha combattuto su tutti i ring possibili, dalle pietre del pavé alle vette innevate e ha segnato in mille modi diversi, trascinando di forza il ciclismo nell’era moderna, tra sponsor, premi e biciclette griffate. Certamente Merckx è stato un marchio di fabbrica, nel senso epico, ma anche prosaico della questione: «Perché la grande differenza tra il ciclismo dei miei tempi e quello di oggi sta tutto nei soldi. Dovevamo correre tanto e cercare di vincere il più possibile perché i premi erano parte integrante del nostro guadagno. Adesso ci sono ingaggi tali che un corridore può puntare a pochi obiettivi». 

Ma Eddy è per sempre e non ha prezzo, perché è stato un campione capace di diventare più celebre del suo stesso sport. E lo è ancora oggi, sempre al lavoro nella sua fabbrica di biciclette o in giro per il mondo come ambasciatore delle due ruote. 

Forse davvero è perfetta la sintesi – attribuita al patron del Tour Jacques Goddet con qualche rivendicazione di paternità italiana – che racchiude buona parte della storia del ciclismo: «Merckx è stato il più forte, Coppi il più grande». Perché Fausto, assieme a Bartali, ha conquistato nuove terre, ha messo a punto le mappe. Eddy ha seminato su quei territori fertili facendoli crescere a dismisura, raccogliendo ogni tipo di vittoria, anche sradicandola dal giardino degli avversari, ovviamente. La leggenda del Cannibale nasce così: la figlioletta del francese Christian Raymond, stanca di vedere il padre sempre sconfitto da quel gigante dagli zigomi pronunciati, definì per sempre con quel soprannome l’appetito insaziabile di Edouard Louis Joseph, detto Eddy. «Non mi ha mai dato fastidio essere chiamato così. Avevo una gran fame di vittorie e se potevo cercavo di conquistarle...». 

Ma la voracità dei campioni non è facile da descrivere e a volte nemmeno da capire fino in fondo. Fare la conta di quello che Merckx ha tolto dal tavolo altrui, comunque può aiutare. Le vittorie, dal 1965 al 19 marzo 1978, sono 445: 5 Tour, 5 Giri, 3 Mondiali, 7 Milano-Sanremo, 5 Liegi-Bastogne-Liegi, 3 Parigi-Roubaix, 2 Giri delle Fiandre, 2 Lombardia 2 Amstel. 

L’uomo che ha fatto conoscere il piccolo Belgio a tutto il mondo ha conquistato tre volte Giro e Tour nello stesso anno (’70, ’72, ’74) e ha vestito 96 maglie gialle, 77 volte la maglia rosa, una seconda pelle da esibire in Italia, quasi una seconda casa per lui, oltre che la patria del suo miglior nemico, Felice Gimondi e quella di una delle sue vittorie più belle, al Giro ’68, sotto la neve delle Tre Cime di Lavaredo. Quelli di Merckx l’italiano sono stati nove anni ruggenti tra Faema, Faemino e appunto Molteni. Con due maestri come Ernesto Colnago e Ugo De Rosa a preparargli il cavallo migliore. «La vittoria a cui sono più affezionato è il Tour del 1969, perché un belga non vinceva da trent’anni e poi venivo dalla positività di Savona al Giro, uno dei ricordi più spiacevoli». Perché errori ne ha fatti anche Eddy. Il più grande di tutti? Dire, davanti alla torta dei 60 anni, che «un altro Merckx è possibile anche oggi». 
PAOLO TOMASELLI

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