MAESTRI DI CALCIO - Stein, l'ultimo immortale

«John, you're immortal now!»
- Bill Shankly

di CHRISTIAN GIORDANO, Guerin Sportivo

Ci sono strani modi di scaldare il cuore di una tifoseria. Per quella del Celtic, storicamente passionale ma su certe cose intollerante almeno quanto quella dei Rangers, ne esiste uno infallibile: riportarle alla mente gli eroici tempi di Jock Stein (si pronuncia “Stin”). Il primo non cattolico a sedersi sulla panchina biancoverde. E l’ultimo «immortale». Così gli si era rivolto il 25 maggio 1967 Bill Shankly, leggendario manager del primo Liverpool “europeo”, nel fargli i complimenti per la fresca vittoria in Coppa dei Campioni. La prima di una britannica e, più in generale, di una non latina. 

John Stein, figlio unico di George e Jane, nasce il 5 ottobre 1922 a Burnbank, minuscolo centro minerario scozzese alle porte di Hamilton, nel South Lanarkshire. Come per quasi tutti i suoi contemporanei, anche per Jock – così all’epoca lo chiamano amici e parenti – il futuro sembra tracciato: in miniera. Finiti gli studi alla Leaves Greenfield, a quattordici anni lavora per un po’ in un’azienda di tappeti. A quindici, scende nel sottosuolo per seguire le orme paterne nell’estrazione del carbone. Strano a dirsi per uno che diventerà un gran pezzo d’uomo, Jock, da ragazzo, anche per via di quel lavoro, si ritrova un fisico elastico e sottile come un giunco; e a differenza dei meno fortunati colleghi, anche una via di fuga: il calcio. 

A sedici anni entra in una delle più famose formazioni juniores scozzesi, il Blantyre Victoria. La svolta avviene poco dopo il 20esimo compleanno. È il 1942 ma l’attività agonistica, pur condizionata dalla Seconda guerra mondiale, non si ferma. Esentato dal servizio militare in quanto minatore, e quindi “precettato” per l'industria bellica, Stein lavora dal lunedì al venerdì e il sabato gioca a calcio. L’esperienza con gli juniores gli vale un provino per gli Albion Rovers. La squadra del Lanarkshire è in difficoltà perché dalla Second Division, dopo la riforma dei campionati avvenuta in tempo di guerra e nonostante i tanti giocatori spediti al fronte, si ritrova “promossa” nella riorganizzata First Division. Con il club di Coatbridge, Stein ha già sostenuto dei provini come centromediano – il primo, ironia della sorte, in un sorprendente quanto meritato 4-4 contro il Celtic –, ma non era stato preso. Ora, finalmente, c’è la firma e dopo un breve prestito, nel ’43, al Dundee United, comincia per lui un’altra carriera. Bob Crampsey, stimato cronista e commentatore sportivo delle Highlands, oltreché uno dei suoi più attenti biografi, giura che da calciatore Jock fosse più forte di quanto in molti, non ultimo il giocatore stesso, credessero. 

Ancora oggi ricordato come uno dei migliori acquisti giunti al Cliftonhill, quel centr’half mancino dall’imponente “presenza” nel 1948 è uno degli artefici della promozione dei Rovers in Second Division, risultato che in un libro Stein definirà «il miglior traguardo nella storia del club». Allora, come adesso, le casse sociali languivano, e così Jock si ritroverà, di lì a poco, a discutere sugli emolumenti. Per tutta la carriera crederà che al “valore” di un lavoratore dovesse corrispondere un adeguato ingaggio, battendosi sempre per ottenere quanto credeva gli spettasse. Anche così si spiega la scelta, alquanto bizzarra, della sua prossima destinazione. 

Nel 1950 risponde a un annuncio pubblicato sul giornale da un modesto club gallese di non-League, il Llanelli Town. Sull’inserzione si legge che la società è alla ricerca di «giocatori di comprovate capacità», il cui «prezzo del cartellino non costituisce una pregiudiziale» purché si tratti di «top players». Il Llanelli gli offre l’allora principesca somma di 12 sterline la settimana – il doppio di quanto Stein prendeva agli Albion Rovers – e la possibilità di vivere il calcio come professionista a tempo pieno. Jock così parte alla volta del Galles del sud, lasciando moglie e figlia piccola a casa, a Hamilton. 

«Il calcio gallese di non-League era davvero il cimitero degli elefanti», ricorda il cronista Crampsey. «E credo che [Stein] sia sempre stato grato al Celtic per averlo ripreso dal Llanelli. Il merito del ritorno era stato del trainer della squadra riserve, Jimmy Gribben, che se lo ricordava bene per averlo visto all’opera nei Rovers e lo aveva segnalato al presidente Robert (Bob) Kelly. Il quale, via via che i successi in panchina di Stein aumentavano, si prendeva meriti che invece erano tutti di Gribben». 

Nel 1951 il Celtic era in crisi per via degli infortuni. Gribben suggerì il nome di Stein, che per 1200 sterline arrivò a coprire il duplice ruolo di rincalzo per la prima squadra e di allenatore per le giovanili. Dal canto suo, dopo un anno, Stein voleva disperatamente lasciare il Galles per tornarsene a Hamilton, anche perché in sua assenza la casa era stata “visitata” dai ladri un paio di volte. L’accordo quindi è presto fatto e così, l’8 dicembre, Jock debutta battendo 2-1 in casa il St Mirren. 

Le storie più belle richiedono un elemento di fortuna, e in questa la Provvidenza dà subito una grossa mano al neo-arrivato. In rosa Stein ha davanti a sé tre centromediani: a Jimmy Mallan, la prima scelta, si riacutizza uno stiramento inguinale; Alec Boden s’infortuna alla schiena; e Johnny McGrory è convalescente dopo un problema a una cartilagine. La catena di incidenti costringe quindi il manager Jimmy McGrory a imperniare la difesa attorno a Stein, che non si fa sfuggire l’opportunità. Una volta in squadra non ne esce più, se non per infortunio. 

Il destino, ancora una volta, ci mette lo zampino, stavolta per cementargli il posto nell'undici titolare. Ai tempi è il capitano a nominare il vice e, per estensione, il proprio successore. La fascia è sul braccio del portiere Sean Fallon, che antepone Stein ai compagni Bertie Peacock e Bobby Evans, le scelte più ovvie se non altro per anzianità. Poco prima di Natale del 1952 Fallon si rompe un braccio e così Jock, dopo un anno in biancoverde, ne eredita i gradi che manterrà sino al 1955-56, quando un infortunio alla caviglia gli farà chiudere anzitempo la carriera, lasciandogli una permanente zoppia. 

Nel 1953 è lui a sollevare la Coronation Cup, trofeo messo in palio per celebrare la ricorrenza dell’incoronazione della regina d’Inghilterra Elisabetta II. Gli scozzesi superano a sorpresa gli squadroni inglesi (1-0 all’Arsenal e 2-1 al Manchester United) e, nella finale del 20 maggio, i connazionali dell’Hibernian (2-0 davanti ai 117.000 dell'Hampden Park), laureandosi campioni ufficiosi di Gran Bretagna. 

Nel 1954 il Celtic riconquista il titolo dopo 16 anni e centra il primo double Coppa di Lega-Coppa di Scozia dal 1914. A fine stagione il presidente Kelly porta i giocatori in viaggio-premio in Svizzera per assistere ai Mondiali. Mentre il resto della spedizione si gode la vacanza e solidarizza con i tre nazionali del Celtic (Bobby Evans, Willie Fernie e Neil Mochan) umiliati 7-0 dall’Uruguay, Stein guarda e impara. Primo, a non ripetere gli errori degli scozzesi nella preparazione; secondo, le innovazioni strategiche dei continentali, in particolare il “9” tattico nel WM degli ungheresi che stavano rivoluzionando il gioco. 

Nel 1956, archiviati i 2 gol e le 148 gare in biancoverde, Stein chiude vincendo la prima Coppa di Lega nella storia del club: 3-0 al Partick Thistle nel replay della finale (sigillo di Collins e doppietta di John McPhail) dopo lo 0-0 della prima gara e un decennio di tentativi falliti. 

Dopo il ritiro Jock resta al club per apprendere i rudimenti della futura professione guidando le riserve e le giovanili e perorando alla dirigenza l’acquisto del terreno a Barrowfield come campo di allenamento. Nel 1958, rifilando un complessivo 8-2 ai Rangers, alza il suo primo trofeo da manager, la Second XI Cup, coppetta riservata appunto alle seconde squadre. Ma è al Dunfermline Athletic che dimostra di essere pronto per camminare con le proprie gambe. Il 14 marzo 1960 firma il contratto e in sei settimane, vincendo le altrettante gare rimaste, evita una retrocessione che pareva certa. L’anno successivo, i Pars conquistano la prima Coppa di Scozia della loro storia superando, anche qui al replay, proprio il Celtic di Jimmy McGrory (0-0; 2-0 di Dave Thomson e Charlie Dickson). 

Dopo quattro anni nel Fife, il 1° aprile 1964 Jock passa all’Hibernian con cui vince subito, manco a dirlo al replay, la Summer Cup contro l'Aberdeen: 3-2 al Pittodrie; 2-1 all'Easter Road di Edimburgo e 1-3 di nuovo al Pittodrie. Per testare più le reali ambizioni della dirigenza che la forza della squadra, Stein invita il Real Madrid per un’amichevole, conclusasi con un sorprendente 2-0 per i padroni di casa. 

Tempo pochi mesi e il 9 marzo del 1965 il presidente del Celtic, Robert Kelly, che lo corteggiava da gennaio, lo riporta “a casa” per farne il successore dell’ormai logoro Jimmy McGrory, in carica dal 1940 e sbrigativamente ricollocato alle Pubbliche relazioni. Monumento del club da giocatore (400 gol in 17 stagioni con i Bhoys), McGrory era più gestore che allenatore, e secondo alcuni solo un paravento dietro il quale l'autocratico Kelly si nascondeva per fare la formazione. Logico pensare che un simile avvicendamento avrebbe cambiato tutto, in campo e fuori. 

Dopo undici anni d’astinenza, con Stein arriva subito la Coppa di Scozia, 3-2 al suo ex Dunfermline Athletic, colpo di testa risolutivo di Billy McNeill. E la stagione successiva, il primo titolo dopo 12 anni. In Coppa delle Coppe, come nel 1964 (3-0 e 0-4 con l’MTK Budapest), la squadra cede in semifinale, stavolta contro il Liverpool (1-0 e 0-2). 

In patria Stein spezza il dominio dei Rangers e dà vita al periodo d’oro nella storia del Celtic – 9 titoli nazionali consecutivi (primato poi eguagliato dai “cugini” negli anni 90), compresi due trebles (1967 e 1969) campionato-Coppa di Scozia-Coppa di Lega. 

L’impresa più memorabile però sarà portare a Glasgow, nel 1967, la Coppa dei Campioni. Eliminati Zurigo, Nantes, Vojvodina e Dukla Praga, in finale il Celtic rimonta con Tommy Gemmell (61’) e Stevie Chalmers (85’) l’illusorio vantaggio nerazzurro (rigore di Sandro Mazzola all’8’, concesso per un dubbio fallo di Craig su Cappellini) e realizza una storica impresa i cui protagonisti passeranno alla storia come “The Lisbon Lions”. 

A rendere onore alla prima squadra britannica campione d’Europa provvederà il “Mago” Helenio Herrera parlando, nonostante le botte subite dai suoi, di «vittoria dello sport». L’Inter, che in otto giorni perde Coppa dei Campioni, campionato e Coppa Italia, si vendicherà eliminando gli scozzesi ai rigori nella semifinale del 1971-72. Ma nel 1966-67 il Celtic è una corazzata inaffondabile che centra l’en-plein: campionato, Coppa di Scozia, Coppa di Lega, Coppa dei Campioni e Glasgow Cup. Si arena solo sullo scoglio Intercontinentale: il mondiale per club va infatti agli argentini del Racing di Avellaneda, sconfitti 1-0 a Glasgow, ma vittoriosi 1-2 a Buenos Aires e 0-1 nel «neutro» di Montevideo. 

I biancoverdi sfiorano il bis europeo tre anni dopo, a Milano contro il Feyenoord. Stavolta però, a prevalere sono gli olandesi (vantaggio del “solito” Gemmell, pareggio di Israël e, nei supplementari, gol-vittoria dello svedese Kindvall). L’epopea del Celtic finisce lì, perlomeno sulla ribalta internazionale, perché ricostruendo sul talento di David (Davie) Hay, Geroge Connelly, Lou Macari, Kenny Dalglish e Danny McGrain, Stein arpiona altri 5 campionati, 5 Coppe di Scozia e 2 Coppe di Lega. Alla fine, in 12 stagioni vanterà 25 successi (la Coppa Campioni, 10 titoli e 8 Coppe nazionali e 6 Coppe di Lega), senza contare i trofei minori. 

Nel luglio ’75, si salva per miracolo in uno scontro automobilistico avvenuto sulla strada del ritorno a casa da una vacanza a Minorca. Jock deve la vita alla prontezza di un poliziotto che lo raccoglie, in fin di vita, sul ciglio della strada. Stein respira a fatica ma l’agente lo rianima e riesce a farlo ricoverare d’urgenza all’ospedale di Dumfries. 

Sarà un caso, ma per la prima volta in undici stagioni, e cioè da quando Stein ne era diventato il manager, il Celtic non vince alcunché. Tornato in panchina dopo un anno di convalescenza, ma visibilmente meno irrequieto e combattivo, Stein si gode l’ultima stagione di successi e zittisce così le malelingue che non credevano al suo pieno recupero. Appena tornato il grande vecchio, come d’incanto i biancoverdi riconquistano il sesto double campionato-coppa, ma perdono (1-2 dall’Aberdeen) la finale in Coppa di Lega. 

Nel 1977-78, la cessione di Dalglish al Liverpool e gli infortuni di Conn e di Stanton mettono fine alle speranze di riportare al Parkhead la Coppa dei Campioni. Stein viene avvicendato da McNeill, capitano a Lisbona ’67, in mezzo a una ridda di voci che vogliono il suo rapporto con la dirigenza compromesso anche per via di un’umiliazione che non meritava: il tentativo di Kelly e Whites di destinarlo alla raccolta fondi anziché affidargli la presidenza onoraria del club. 

Nel 1978 resiste al Leeds United 45 giorni (uno in più di quelli, storici, di Brian Clough nel 1974), poi si dimette e accetta per la seconda volta la panchina della nazionale dopo la parentesi vissuta nel 1965-66. Nei suoi otto anni di gestione, la Scozia centra due qualificazioni mondiali: a Spagna ’82, esce per un gol in meno rispetto all’URSS; a Messico ’86 ci arriva con un altro Ct. 

Il 10 settembre ’85, al Ninian Park di Cardiff, subito dopo l’1-1 fra Galles e Scozia che vale ai suoi lo spareggio con l’Australia, Jock si accascia lungo la linea laterale e muore per un attacco di cuore, il secondo dopo il principio d’infarto patito nel 1973. Per un uomo di campo, forse la fine più sognata. 

Deceduto Stein, il giovane Alex Ferguson funge da traghettatore verso la gestione-Andy Roxburgh, ma non supera la prima fase. Quell'assistente farà strada, ma ancora gli mancavano il carisma e la conoscenza del gioco dell’ultimo immortale.
CHRISTIAN GIORDANO, Guerin Sportivo


DAI LISBON LIONS ALLE MULTINAZIONALI
Ai giorni nostri i grandi club sono autentiche multinazionali, con relativi bilanci e una rete di scouting davvero globale. A rendere quel Celtic speciale era invece la peculiarità, oggi inimmaginabile, che l’intera rosa proveniva dal vivaio, fatto con giovani del luogo e dalle profonde radici locali. L’undici campione d’Europa 1966-67 era nato e cresciuto entro 15-30 miglia da Glasgow. Prima di scendere in campo come professionisti all'Hampden Park, quasi tutti i giocatori, da ragazzi, avevano tifato per i Bhoys (con l'acca) da quelle gradinate.

All’arrivo di Jock Stein, nel 1965, il Celtic era un club dalle ampie risorse, ma non vinceva. Il campionato “apparteneva” ai fortissimi Rangers del difensore John Grieg e del mediano “Slim Jim” Baxter. Stein non solo regalò ai biancoverdi Coppa e titolo nazionali nel giro di un anno, ma seppe portare la squadra oltre i confini – è il caso di dirlo – parrocchiali fino a issarla sul tetto d’Europa. I local lads, i ragazzi del posto, erano diventati i “Lisbon Lions” capaci, nella finale di Lisbona, di sfilare la Coppa dei Campioni alla grande Inter di Helenio Herrera.

Come per altri squadroni britannici – caso vuole anch’essi guidati da scozzesi, il Liverpool di Bill Shankly o il Manchester United di Matt Busby e quello di Alex Ferguson – è stata soprattutto la continuità ad assicurare al Celtic un decennio di trionfi. Alla stessa maniera della dinastia dei quasi omonimi Boston Celtics del basket NBA negli anni 50-60, la cessione o il ritiro dei giocatori-cardine non spezzava il ritmo dei successi, a testimonianza della cura del club nel preparare il ricambio generazionale della rosa. Per il dopo-Jim Craig era già pronto Danny McGrain, al posto di Bertie Auld via libera a Kenny Dalglish. Il risultato era lo stesso: dominio pressoché totale. 

Non a caso, persino nell'ultimo grande Celtic, perfetto specchio dei tempi, persino il tecnico Martin O’Neill, nord-irlandese di Kilrea, veniva da fuori. E se c’era uno che poteva rinverdire i fasti europei dell’èra-Stein, questi era proprio l’ex pupillo di Brian Clough ai tempi del Nottingham Forest: in quattro stagioni al Parkhead, già un treble (2001) campionato-Coppa di Scozia-Coppa di Lega, un double (2004), un altro campionato (2002) più una finale di Coppa UEFA persa nel 2003 a Siviglia contro il Porto di José Mourinho campione d’Europa l’anno dopo. (ch.giord)


La scheda di JOHN (JOCK) STEIN
Nato: 5 ottobre 1922, Burnbank (Scozia); deceduto a Cardiff (Galles) il 10 settembre 1985 (durante Galles-Scozia 1-1, gara di qualificazione a Messico ’86)
Ruolo: difensore centrale
Club da giocatore: Blantyre Victoria (1938-42), Albion Rovers (1942-43), Dundee United (in prestito, 1943), Albion Rovers (1943-50), Llanelli Town (non-league, 1950-51), Celtic Glasgow (1951-56)
Palmarès da giocatore: promozione in First Division (1948), Coronation Cup (1953), campionato scozzese (1953-54), Coppa di Scozia (1953-54), Coppa di Lega scozzese (1955-56)
Presenze (reti) nel Celtic Glasgow: 148 (2)
Club da allenatore: Celtic Glasgow (giovanili e riserve, 1957-60), Dunfermline Athletic (1960-64), Hibernian (1964-marzo 1965), Celtic Glasgow (marzo 1965-1978), Leeds United (Inghilterra, 1978)
Palmarès da allenatore: Second XI Cup (1958), 9 Coppe di Scozia (1960-61, 1964-65, 1966-67, 1968-69, 1970-71, 1971-72, 1973-74, 1974-75, 1976-77), Summer Cup (1964), 10 campionati scozzesi (1965-66, 1966-67, 1967-68, 1968-69, 1969-70, 1970-71, 1971-72, 1972-73, 1973-74, 1976-77), 6 Coppe di Lega scozzese (1965-66, 1966-67, 1967-68, 1968-69, 1969-70, 1974-75), Coppa dei Campioni (1966-67), Glasgow Cup (1967);
Riconoscimenti: Commendatore dell’Ordine dell’Impero britannico (CBE)
In nazionale da Ct: Scozia (1965; 1978-1985)


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